Di certo Luke Tang – turista di origini asiatiche in vacanza a Venezia – non passerà alla storia come il più disattento degli avventori. La pressione arteriosa deve essergli salita di botto alla vista del conto da 560 euro per un pasto a base di pesce consumato insieme ad altre due persone.
Proteste a go-go, poi carta e penna per rappresentare al sindaco della Serenissima – che ha risposto per le rime – la propria indignazione. Banale divergenza di opinioni, si direbbe. E invece no.
Perché nella querelle è sceso in campo nientemeno che il quotidiano britannico Independent che non solo ha difeso il turista (che risiede in Inghilterra), ma ha stilato un vademecum in 7 punti su come “non venir spennati in vacanza in Italia”.
E giù il cahier de doléance sulle italiche furberie in materia di ristorazione, per finire con tanto di raccomandazione: ordinare pesce con molta attenzione in quanto si è alla mercé dei ristoratori. Il che è in parte vero ed è giusto che i controlli si moltiplichino. Però siamo seri: in tutte le città del mondo – alcune neppure lontanamente paragonabili alla bellezza delle nostre – accadono “stranezze” intorno al cibo.
Se poi il turista s’illude che un’aragosta a piazza San Marco a Venezia oppure un caffè nella piazzetta di Capri possano costare una manciata di euro, ha sbagliato Paese.