Dopo i dati riportati dall’Istat riguardo il tasso di disoccupazione -in riferimento a settembre 2017 -pari all’11,1% vediamo che nel terzo semestre è cresciuto il numero degli occupati, di circa 79 mila unità, ma l’incremento si deve prevalentemente ai dipendenti a termine, che risultano 2 milioni, il dato più alto dal 1992, il tasso di disoccupazione è rimasto bene o male stabile da settembre dell’11,2%.
Facendo un passo indietro e osservando i dati tendenziali, cioè in rapporto al terzo trimestre del 2016, il rapporto è simile. La crescita degli occupati è pari a 303 mila unità, ovvero di 402 mila occupati tra cui 60 mila dipendenti stabili e di una flessione di 99 mila tra gli indipendenti.
“Il numero di occupati ha superato il livello di 23 milioni di unità, soglia oltrepassata solo nel 2008, prima dell’inizio della lunga crisi” spiega l’Istat, precisando che gli occupati erano a luglio 23.063.000 persone, il massimo a partire da ottobre 2008. La soglia era già stata oltrepassata a giugno, precisa l’Istat, a seguito della revisione dei dati provvisori e il tasso di inattività scende al 34,4% toccando il minimo storico. La stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a luglio è come abbiamo potuto notare in calo.
Numeri che sicuramente fanno tirare un breve sospiro di sollievo ma tutto ciò non è abbastanza, il numero degli occupati sarà anche cresciuto, ma non quello dell’indipendenza e dell’autonomia. Purtroppo la situazione economica di molte persone è ancora insoddisfacente, il lavoro c’è ma non c’è crescita lavorativa, il 48 % degli italiani ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Una realtà ancora radicata nel nostro territorio che sembra non avere una soluzione. Il salario della classe media del nostro Paese e poco più di 1000 euro al mese per chi riesce ad arrivarci. E’ giusto continuare a dire “meglio di niente”? È sempre più difficile per i giovani italiani garantirsi un’indipendenza economica, se infatti nel 2004 servivano dieci anni per diventare autonomi (divenendoci quindi intorno ai 30), nel 2020 ne potrebbero servire 18 e nel 2030 addirittura 28, le famiglie italiane costrette sempre più a fare sacrifici o a vivere in condizioni lavorative precarie si ripercuotono notevolmente sulla qualità della vita delle persone, sulla salute e sulla psiche. Un dato allarmente che porta e che porterà delle conseguenze e dei problemi intramontabili.
Stiamo vivendo una profonda crisi, non solo economica, ma anche della famiglia, dei valori, una sorta di crisi generale con un impatto notevole sulla persona. È come se si camminasse in un terreno instabile, traballante come se tutto quello che abbiamo costruito con fatica e dedizione possa scomparire in niente. Oggi lavori, domani non lo sai, aziende che chiudono, famiglie in crisi. Il lavoro è fondamentale da punto di vista psicologico, permette l’autoaffermazione, l’autonomia economica, la realizzazione dei propri sogni e la soddisfazione dei propri bisogni. Se il lavoro è il primo ad essere intaccato si rischia una crisi di identità, un crollo personale e il fiorire delle paure di non farcela, per la propria famiglia, per i propri figli, per il futuro, per i propri risparmi, per il Paese stesso.
Si spera quindi che si il tasso occupazionale continui ad aumentare, ma che ad aumentare sia anche la fiducia e la realizzazione personale di ogni Italiano.
Martina Fiorentino