Un’arca di Noè carica di bambini che solca il mare in tempesta rappresenta l’efficacissima immagine che l’«Osservatorio sui diritti del minori» ha adottato per il proprio logo. Fondato a Milano nel 2000 per iniziativa di un gruppo tecnici tra sociologi, psicologi, neuropsichiatri infantili, poliziotti, legali esperti in diritto minorile, si prefissa di studiare i problemi della tutela dei diritti dei bambini attraverso l’indagine della realtà psicosociale e legale della sfera minorile; la sensibilizzazione dei mezzi d’informazione e delle istituzioni. Presidente dell’Osservatorio è Antonio Marziale, sociologo e saggista, 48 anni, originario di Taurianova, ospite di numerose trasmissioni televisive.
Dalla «televisione cattiva maestra», teorizzata dalla psicologa Anna Oliverio Ferraris a metà degli anni ’90, si sono verificati cambiamenti profondi. Nella società globalizzata e tendenzialmente incline alla corruzione morale, i bambini restano l’anello debole, considerati un obiettivo massificante e non individui cui proteggere la crescita evolutiva. Con quali strumenti scientifici o legali, dottor Marziale, si tenta di difendere i bambini dalle continue sollecitazioni alle quali sono sottoposti?
«Bisogna partire da un assunto. Volenti o nolenti la televisione è un’agenzia di socializzazione e funge da strumento educativo, che crea modelli. Se i modelli sono quasi esclusivamente negativi i risultati sono quelli che conosciamo: i giovani delinquono, aggrediscono, stuprano, soprattutto emulano. Il vero problema è che gli operatori della comunicazione non solo non hanno capito che la qualità dell’offerta televisiva è scadente, ma nemmeno che molti contenuti proposti da tutti gli altri mezzi di socializzazione sono pericolosi. Senza alcun tipo di filtro che tuteli la personalità di bambini, adolescenti e giovani, non esistono efficaci strumenti di contrasto».
Quindi sarebbe necessario aprire un confronto serrato, e a più livelli, con gli operatori della comunicazione.
«Inutile. Non servono confronti, né salotti né censure. Tutto deve partire dalla scuola, quella italiana è in clamoroso ritardo nel recepire l’importanza ormai fondamentale dell’educazione ai media. L’Unesco lanciò questo tema nel lontano 1970: dopo 44 anni la scuola non ha ancora provveduto ad istituire come materia scolastica l’educazione ai media. D’altronde se si tenta con un penoso eufemismo di introdurre l’educazione sessuale col nome di “educazione ai sentimenti”, ci rendiamo conto di quanto siamo indietro».
Forse è un giudizio un po’ troppo ingeneroso nei riguardi di un’istituzione dalla quale si pretenderebbe la risoluzione di tutti i malesseri sociali.
«La scuola italiana non è l’imputata principale, ci mancherebbe, dico solo che non dovrebbe sfuggire alle proprie responsabilità».
Uno dei fenomeni patologici in aumento è il disagio psichico tra adolescenti e giovani. Di cosa si tratta?
«Possiamo definirla una vera e propria depressione. Quando i ragazzi non giocano, non socializzano, non scaricano i propri ormoni con attività sportive, ma si rifugiano nella solitudine di internet, si isolano. L’isolamento, che è sinonimo anche di scollamento con la realtà circostante, più portare a questo tipo di malessere».
L’Osservatorio è sempre attento agli eventi che si susseguono. Per questo avete stigmatizzato anche la decisione del governo italiano di utilizzare il porto di Gioia Tauro come scalo per lo stoccaggio delle armi chimiche provenienti dalla Siria.
«Ho sentito il dovere di esprimere la mia opinione principalmente come calabrese. Si è sempre detto e ripetuto, non senza enfasi, che il porto di Gioia Tauro dovesse diventare un polo per lo sviluppo economico della regione; poi si scopre per volontà superiore che deve fungere da pattumiera d’Italia. Mi sento offeso, come faccio a dire ai ragazzi calabresi di non emulare i mafiosi e poi, con questi esempi, a parlare loro di legalità?».