Uno degli effetti collaterali più gravi della ricchezza, a parte l’invidia del prossimo, consiste nell’essere frequentemente oggetto di furti, rapine, estorsioni, cavalli di ritorno ed in casi estremi attentati terroristici. Tutte esperienze che purtroppo ho avuto occasione di provare più di una volta nel corso degli anni, nonostante il mio abbigliamento casual, adottato per libera scelta e non per passare inosservato.
I furti che ho subito sono stati pochi e poco significativi, grazie ad un sistema di allarme molto sofisticato, porte e vetri corazzati, ma soprattutto per la presenza di tre rottweiler, di giorno in giardino, di notte in casa, che costituivano un deterrente mordace per i mariuoli; in ogni caso una polizza assicurativa esaustiva mi proteggeva a posteriori.
Un tentativo originale di furto è raccontato in un articolo di Antonella Morisco pubblicato su Cronache di Napoli del 27 aprile 2001 da titolo Ginecologo placca il ladro sorpreso a rubare:
“Non è cronaca di tutti i giorni incontrare, tra le mura domestiche, in pieno giorno, un ladro nascosto dietro una libreria. Ancor di più inusuale che a seguito di questo incontro, dopo una breve colluttazione, scattino tempestivamente le manette. E’ quanto è accaduto l’altro giorno, intorno a mezzogiorno al famoso ginecologo Achille della Ragione in via Manzoni. Questi, nel cercare un libro nella biblioteca della sua villa, ha notato che il mobile era leggermente scostato dalla parete; dietro di esso, infatti, c’era un ospite indesiderato. L’incontro è di quelli che lasciano senza fiato. Il medico, però, non si è perso d’animo e, memore del suo passato titolo di campione universitario di lotta libera, ha affrontato il ladro. Le grida che sono scaturite dalla colluttazione hanno fatto accorrere il figlio del ginecologo, Gian Filippo, il quale stava studiando al piano inferiore. Le forze dell’ordine al loro arrivo hanno trovato il malfattore immobilizzato e senza fatica lo hanno trasportato in questura; si tratta di un nomade slavo che ha agito a volto scoperto. Da una prima ricostruzione il ladro sarebbe giunto al quarto piano della villa scavalcando scimmiescamente un albero secolare: solo questa circostanza infatti può giustificare il mancato intervento dei tre ferocissimi quanto addestrati rotweiller del professor della Ragione, un uomo, come ha dimostrato in questo frangente, coraggioso e determinato e non nuovo a episodi imbarazzanti…risolti con energia.”
Il capitolo delle rapine, tutte avvenute nello studio, è il più corposo, fino a quando non posizionai una porta blindata con spioncino pochi metri dopo l’ingresso, in maniera tale che, mentre un assistente apriva un altro guardava dal vetro corazzato ed in caso di visite non gradite impediva l’accesso ai locali dello studio.
Per un periodo, nei primi anni di attività, abitavo un appartamento collegato attraverso un terrazzo allo studio, che spesso era in funzione fino a sera tarda.
Siamo nel 1974 quando ebbi la prima rapina, per quei tempi un evento eccezionale, a tal punto che i quotidiani locali dedicarono ampio spazio alla notizia, a differenza di oggiche le rapine avvengono anche negli ambulatori dei medici della mutua.
Stavo seguendo Rischiatutto alla televisione, nel mio salotto, quando all’improvviso fecero irruzione due delinquenti armati, che trascinarono con loro anche uno dei miei assistenti. In un primo tempo pensai ad un sequestro di persona, all’epoca frequenti e buttai uno sguardo alle armi per vedere se erano false, eventualmente per reagire. Purtroppo luccicavano, ma tirai un sospiro di sollievo quando capii che volevano solo del denaro, da un vaso prelevai una manciata di soldi e gliela consegnai. Subito tornarono nello studio trascurando per la fretta argenteria e quadri.
Mi condussero con loro e mi accorsi che erano in cinque e tre erano rimasti a controllare gli stupefatti clienti, tra cui un ufficiale in borghese dei carabinieri, che mi confessò, nonostante fosse armato di non aver reagito per evitare una strage. Decisione saggia, che ci permise di salvare la pelle e di poter continuare lo studio, accontentando le ultime clienti.
La seconda rapina avvenne a distanza di circa un anno dalla prima e con modalità meno allarmanti. Ci rimisi l’incasso della giornata ed una buona dose di spavento, ma appena andati via i malfattori, continuai a ricevere le pazienti, alcune venute da molto lontano da Napoli.
La terza ed ultima fu la più temibile, perché cercai e ci riuscii a farli fessi.
Dopo aver depredato i clienti nella sala d’attesa, il capo banda a volto scoperto mi affrontò e disse senza preamboli:”Caccia e soldi”.
Io avevo l’abitudine di tenere i biglietti da 50.000 e 100.000 lire nella tasca posteriore dei pantaloni ed i biglietti di piccolo taglio nella tasca destra del camice bianco e spavaldo gli consegnai soltanto quelli. Ma il gangster vista l’esiguità della cifra esclamò, dopo avermi sbattuto sul volto il fucile a canne mozze:”Ma che stiamo rapinando un medico della mutua, ora ti perquisisco”. Fu un momento imbarazzante, pensai, timoroso cosa farà quando troverà i milioni che gli ho nascosto?
Mi appoggiai con il sedere alla scrivania ed il delinquente vide in tutte le tasche, salvo quella dove avevo il malloppo. Si incazzo moltissimo ed affermo:” La prossima volta fai trovare più soldi altrimenti ti sparo sulle palle”.
Non ci fu una prossima volta perché riconobbi il malvivente sulle foto segnaletiche della polizia e lo feci arrestare. Ricordo ancora il suo volto truce dal naso schiacciato, era infatti un ex pugile.
Il reato dell’estorsione è molto praticato da sempre, perché le pene detentive sono inadeguate alla gravità del reato.
Nei primi anni della mia attività di ginecologo mi imbattei in una minacciosa richiesta alla quale finsi di sottomettermi.
Una voce imperiosa mi ammonì: “Prepara 20 milioni in banconote di piccolo taglio per venerdì alle 17, quando verremo a ritirarle allo studio”.
“Certamente, non preoccupatevi, provvederò”.
All’appuntamento i malviventi si imbatterono nel fatidico 20 richiesto, ma si trattava del numero di carabinieri che, sparpagliati in posizioni strategiche, li accolsero con tutti gli onori, li ammanettarono e li condussero in gattabuia.
Al processo si scoprì che si trattava di personaggi di rilievo, addirittura della succursale delle Brigate rosse, i famigerati NAP: Nuclei armati proletari.
Sul loro capo pendeva un mandato di cattura per omicidio ed erano da tempo ricercati invano. La condanna fu esemplare: 30 anni, interamente scontati.
Li aspettavo all’uscita dopo 6 lustri per salutarli, ma non si sono più presentati.
Nel 2000 ebbi una richiesta da parte di una mia vecchia cliente, che sottovalutai, facendo un errore di cui ho pagato oltre misura le conseguenze.
“Voglio 200 milioni subito, altrimenti ti denuncio, affermando che mi hai sottoposto ad un aborto con la violenza” dichiarò perentoria la gran puttana, a sua volta figlia di puttana.
La misi cortesemente alla porta, ma ritenni inutile denunciare il tentativo di estorsione.
La denuncia la fece invece quella buona donna e trovò un magistrato credulone, che diede credito alla sua versione e spiccò un mandato di cattura nei miei riguardi, al quale segui un processo farsa ed una condanna degna di un boss della camorra.
A Napoli va di moda da tempo il “cavallo di ritorno”, una terminologia altrove sconosciuta, che consiste nel rubare in genere u’automobile o della mercanzia, contattare poi il proprietario ed offrirne la restituzione in cambio di un compenso in denaro.
Anche io ho avuto anni fa un incontro ravvicinato con questa patologia criminale, quando di ritorno da una passeggiata mattutina per via Caracciolo, nel tornare su viale Dohrn, dove avevo parcheggiato il mio duetto, mi accorsi che era stato trafugato.
Ritorno a casa in taxi e bestemmie varie poi, nel tardo pomeriggio, una telefonata:”Abbiamo ritrovato il vostro spider, se volete ci vediamo tra un’ora in vico S. Maria della neve, portate con voi un milione in contanti”
Scendo in cortile, munito di una copia delle chiavi, salgo sulla mia Jaguar, una sosta al commissariato Posillipo dove imbarco 4 poliziotti, 3 maschi ed una femmina muscolosa in borghese e mi avvio all’appuntamento.
Parcheggio distante e mi dirigo all’incontro sotto il braccio della donna, diretta discendente di Tarzan. Mi aspettano due ceffi dal volto patibolare.
“Abbiamo ritrovato la vostra auto e vogliamo consegnarvela”. Stringendo loro la mano calorosamente li apostrofo:”Grazie mille, siete molto gentili, il mondo sarebbe migliore se tutti fossero come voi.”
Nel frattempo con le chiavi di riserva salgo sull’auto ed accenno a mettere in moto. I due delinquenti, stupefatti dal mio comportamento e soprattutto intravedendo all’orizzonte avvicinarsi le sagome dei tre tutori dell’ordine, pensarono bene di dileguarsi tra i vicoli, mentre io trionfante tornavo a casa motorizzato.
Concludiamo con un botto finale, non solamente metaforico, ma anche tremendamente sonoro, costituito dall’esplosione di una bomba molotov, posta vicino ai serbatoi della mia Jaguar, ognuno contenente 50 litri di benzina e collegata all’accensione della vettura.
Autori del gesto criminale, avvenuto nel 1978, i seguaci di una setta cattolica oltranzista: Fede e libertà, che dopo una manifestazione sotto il mio studio distribuendo manifesti insolenti, passarono dalle minacce ai fatti.
Per fortuna, altrimenti non starei a raccontarvi l’episodio, la bomba esplose durante la notte, con fiamme che divamparono fino al 4° piano del palazzo dove allora abitavo, in via Manzoni 184.