Saranno 150 le opere in esposizione al Palazzo delle Arti di Napoli, con una particolare attenzione al connubio nato a metà degli anni ’70 con il gallerista Lucio Amelio. E proprio durante uno dei soggiorni partenopei dell’ artista statunitense ebbe origine il celeberrimo headline work dal titolo Fate Presto, una reinterpretazione della prima pagina de ‘Il Mattino’ del 26 novembre 1980, tre giorni dopo il terremoto dell’ Irpinia, con lo scopo di sollecitare un subitaneo intervento nei territori colpiti dal sisma.
L’ urlo del genio di Pittsburgh esprime tutta la sua carica dissacrante e stimolante, dissacrante verso le istituzioni, stimolante verso la società. Alla luce dello stesso impeto si colloca dichiarazione di Warhol rilasciata in quegli anni proprio a ‘Il Mattino’: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York”.
Parole che incarnano paradigmaticamente la realtà odierna, partenopea e nazionale, ormai stanca dei tanti travestimenti delle istituzioni, della burocrazia e della politica, dove i rifiuti più che materiali sembrano essere uno stato d’ animo, un degrado morale e sociale. E poi c’è la felicità della gente, la volontà di sorridere che affiora dai tanti pericoli, insidie talvolta derivanti dalla forza della natura, quell’ imponenza che sfugge al controllo dell’ uomo rappresentata tanto magistralmente dalla serie Vesuvius, 18 tele in cui, a mo’ degli impressionisti, il Vesuvio viene ritratto in diverse ora del giorno, nel peculiare coacervo cromatico della Pop Art.
I cromatismi del pop, al di là di qualsiasi speculazione catalogatrice, sono anche le tinte emotive dell’ espressionismo, attraverso cui il concetto diventa immagine e viceversa, e proprio la dicotomia concetto-immagine è alla base dell’ incontro tra Warhol e il concettuale europeo di Joseph Beuys, incontro avvenuto sempre a Napoli il 18 maggio del 1979 sotto l’ aura propiziatoria del mecenate Lucio Amelio, una sorta di armistizio artistico tra le due correnti preponderanti in quegli anni, da cui nacque la serie Beuys by Warhol.
Le opere in esposizione andranno dai ritratti di noti personaggi cittadini che l’ artista ebbe modo di conoscere durante i suoi soggiorni in Italia, come Graziella Lonardi Buontenpo, Ernesto Esposito, Peppino di Bernardo, fino ad approdare alle serigrafie più classiche come Campbell’s Soup, Camoufflage, la serie di Marilyn del 1967 e quella celeberrima del 1985 firmata con la scritta ‘Questa non è mia’ (‘Marilyn this is not by me’).
Tale arte, simbolo della contemporaneità e della modernità, oltre a caratterizzarsi per la presenza delle nuove icone, assorbe anche nuove metodologie, come l’ utilizzo della polaroid, testimoniato dalle 22 vedute di Napoli Napoliroid e dalla serie del 1975 Ladies and Gentlemen, che ritrae i travestiti di New York.
Sarà possibile ammirare i disegni basati sulle fotografie di Wilhelm von Gloeden, le t-shirt realizzate dalla Andy Warhol Foundation e un’ opera appartenente alla serie mai completata per costi troppo elevati Hammer and Sickle sotto il titolo Natura Morta, in cui la falce e il martello perdono il simbolismo ideologico e politico per ritornare ad una connotazione meramente merceologica, a testimonianza della dilagante seppur latente insofferenza verso il clima della Guerra Fredda.
A dare il titolo alla mostra è un gruppo di opere su carta appartenenti alla serie Golden Shoes che risale alla metà degli anni ’50, quando Andy Warhol lavorava come grafico e vetrinista per i negozi di Madison Avenue a New York.
Forse tale scelta sta quasi a simboleggiare un ritorno alle origini, all’ idea che è fondamento della vetrina, al tentativo di ricongiungersi con la propria identità, nel diuturno conflitto tra l’ autenticità di una cultura e il degrado di una società, che seppur travestito da una patina glitterata, è impellente e urge di una risoluzione che la smetta di cercare attenuanti semplicistiche.
‘Fate Presto’ è l’ austero grido di Warhol, che decide di liberarsi dai vincoli della sua stessa arte al fine di ridestarci e reclamare il riscatto per la nostra terra.