“Oltre il 50% delle conversazioni più accese online e nei social network non è dovuto alle persone ma alle reti di account automatizzate (botnet), usate da chi ha interesse a influenzare una discussione nel momento in cui gli scambi si moltiplicano” così sottolinea l’esperto di IT Renato Gabriele, fondatore di Oohmm (Observatory of Online Harassment and Media Manipulation), presentando al Festival del giornalismo di Perugia l’attività di analisi dati su questi “Political Bots” o ‘polbots’, che lavorano nei momenti pubblici importanti, non solo per le elezioni , compiuta dal 2013 dal team Bigdata42 confluito nell’Osservatorio. In quest’ottica, l’osservatorio Oohmm conferma l’attività di ‘polbots’ russi nelle presidenziali Usa del 2016 vinte da Trump e di ‘polbots’ italiani invece nel nostro referendum costituzionale dello stesso anno.I ‘polbots’ , quindi, si mascherano come “persone vere” postando o ritwittando notizie, eventi di musica, sport o altri temi molto dibattuti, prima di intervenire dove intendono colpire. Ne è diffusa la compravendita, spiega il sito dell’Osservatorio, alla stregua di “spazi televisivi” necessari ad un’agenzia pubblicitaria alle prese con il lancio di un nuovo prodotto. Oohmm ha ripreso i dati anche sulle elezioni italiane del 4 marzo scorso e, tra l’altro, in occasione dei violenti commenti contro alcune figure femminili o sulla sparatoria di Macerata contro immigrati africani (6 feriti). Dall’estate 2017 ‘polbots’ di ogni provenienza hanno creato anche lo ‘hate speech’ contro “soggetti di forte impatto sociale ma spesso ‘deboli, come gli immigrati, comprese alcune rilevanti figure pubbliche femminili: un fenomeno osservato negli Stati Uniti e confermato anche per le botnet attive in Italia”, che “hanno inserito questi attacchi tra i propri standard di comportamento”.