Lo schiaffo di Natalie Portman, bella e brava attrice dal doppio passaporto israelo-americano, è di quelli che lasciano il segno.
Il suo rifiuto a ritirare il premio Genesis – riconoscimento da 1 milione di dollari assegnato ogni anno a chi, per i risultati professionali e per la dedizione ai valori ebraici, è fonte d’ispirazione alle nuove generazioni – sa molto di boicottaggio politico.
Il motivo del rifiuto sarebbe collegato a non meglio precisati “recenti avvenimenti” con protagonista il governo di Tel Aviv. Forse le uccisioni di manifestanti palestinesi da parte di soldati israeliani?
Oppure le deportazioni di migliaia di rifugiati africani? Mi sa che questa insofferenza che serpeggia a tutti i livelli dell’ebraismo mondiale sia destinata a proliferare.
Qui non si tratta di discutere lo status di Israele, le sue ragioni storiche e le immani sofferenze patite dal suo popolo; ma si tratta di riconoscere che il pugno duro del conservatorismo – giustificato da esigenze di sicurezza nazionale – alla lunga rischia di alienare simpatie e solidarietà internazionale.
Il boicottaggio della Portman – che certamente non nutre simpatie per i nemici di Israele – è indicativo. Ed è molto di più di una bizza da star.