I volontari di Operazione Colomba, il corpo non violento di pace dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXII rivendicano con forza il diritto di far sentire la propria voce.
«L’unico diritto che ci è stato lasciato è quello di scegliere come morire in silenzio». I profughi accampati nel nord del Libano,
ormai da diversi anni, fanno ascoltare il loro grido alla comunità internazionale di fatto da sette anni dall’inizio di una guerra che ha distrutto la loro patria almeno un milione e mezzo di profughi siriani vivono nel paese dei cedri senza casa né lavoro, senza sanità né scuola per i loro figli, è questa è la prospettiva di
futuro che bisogna considerare per gli adulti e per i nati nel campo, praticamente senza futuro ed
inaccettabile. In virtù di questo, l’associazione di Operazione Colomba Bianca, spera che quanto prima possa
mettersi in moto la macchina della cooperazione internazionale affinché si possa organizzare un rientro in Siria, attraverso la creazione di zone umanitarie. Cioè, puntare su quei territori che «scelgono la neutralità rispetto al conflitto, sottoposti a protezione internazionale, in cui non abbiano accesso gruppi armati», sul
modello, spiegano, di quanto realizzato dalla Comunità di pace di San José di Apartadó in Colombia.
Dichiarano «Vogliamo, che siano aperti corridoi per portare in sicurezza i civili in pericolo fino alla fine della
guerra e che tutti i rifugiati ritornino a vivere in pace e sicurezza nella loro patria». I vescovi maroniti, recentemente di fronte a questa condizione di emergenza dei profughi siriani, più volte hanno richiamato l’attenzione e premendo sulle istituzioni, in primo luogo del governo libanese, a porre mano a un «piano globale» volto a favorirne il rimpatrio dei rifugiati in condizioni di sicurezza. Nel campo profughi di Tel Abbas, a soli cinque chilometri dal confine siriano, si sono sistemati i volontari di Operazione Colomba,
presenti in Libano dal settembre 2013, considerando che solo dall’aprile dell’anno successivo che si sono sistemati stabilmente. Gli stessi profughi siriani, sono stati a chiedere ai volontari di vivere insieme a loro, perché, sostengono, una presenza internazionale civile e disarmata rappresenta un forte deterrente all’uso
della violenza, abbassa la tensione, facilita l’incontro tra le parti e, soprattutto, apre importantissimi spazi di dialogo e convivenza pacifica permette di fare piazza pulita anche di ogni pregiudizio e della facile equazione di chi vede in ogni siriano un potenziale terrorista. Da oltre quattro anni, dunque, i volontari di
Operazione Colomba condividono la stessa vita dei profughi. Donne, bambini, anziani, disabili, uomini e ragazzi che sono scappati dalla guerra in Siria per non dover essere obbligati a combattere o essere uccisi. Questi volontari vanno ben oltre a quanto potrebbe essere una normale assistenza, tant’è che hanno scelto di vivere con loro e sostenerli nelle necessità e accompagnarli, per esempio, durante le visite mediche negli ospedali delle vicine città (dove da soli non sarebbero potuti andare o non avrebbero ricevuto assistenza
alcuna). Questo atteggiamento, ha permesso ai volontari di instaurare anche un’importante rete di rapporti di fiducia e di poter così raccogliere e farsi portavoce delle richieste dei rifugiati stessi, richieste che oggi si sono trasformate in una vera e propria «proposta di pace per la Siria».
Raffaele Fattopace