Si è svolto ieri a Napoli presso l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” l’ “Insurance and Finance Day”.
Un’evento organizzato dall’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” in collaborazione con la società di brokeraggio assicurativo IGB Insurance Gold Brokers e l’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (CNR).
Hanno partecipato all’evento: la Professoressa Albina Candian dell’Università degli Studi di Milano, il Professor Massimo De Felice della Sapienza Università di Roma e Presidente dell’INAIL, il Professor Paolo Garonna dell’Università LUISS, Guido Carli, Segretario Generale della FeBAF e il Dottor Paolo Bedoni, Presidente della Società Cattolica di Assicurazione.
Fra gli altri c’è stato l’intervento di Angelo Coviello – a rappresentare la IGB Insurance Gold Brokers – che ha così introdotto il tema:
“Ringrazio il Magnifico Rettore dell’Università Prof Carotenuto e tutti i dipartimenti che con il loro contributo hanno reso possibile questa giornata e alla prof.ssa Perla per la pazienza che ha voluto tenere anche nei miei confronti”.
L’industria assicurativa italiana fornisce un contributo significativo all’economia e alla società complessivamente il settore con circa 200 imprese dà impiego a 300 mila persone.
Tuttavia la tecnologia sta imprimendo nuovi scenarianche nel comparto assicurativo, imponendo alle compagnie di trovare nuovi modi e servizi per entrare in contatto con i propri clienti e assisterli al meglio.
Ora il nuovo trend è l’innovazione, si sta facendo largo un nuovo modello di prestazioni di servizi al cliente, che dovrebbe coniugare le strategie di ottimizzazione dei costi e di differenziazione dei prodotti, all’insegna della gestione completa dei rischi e dell’utilizzo della tecnologia a tutto tondo.
La quarta rivoluzione industriale, basata sulle tecnologie avanzate, può aprire certamente nuove opportunità in campo economico, sociale, politico, ma anche creare nuovi pericoli per il mondo del lavoro. Pericoli illustrati in uno studio di Christophe Degryse, ricercatore dell’European Trade Union Institute (ETUI).
A cominciare dalla ridefinizione del concetto di lavoro, in cui la macchina, da strumento a disposizione del lavoratore, ne sta diventando un sostituto, anzi, l’uomo – il cui operato è facilmente controllabile – perde sempre più la propria autonomia organizzativa e sembra quasi diventare lui stesso una macchina da sfruttare al massimo.
Negli Usa si stima che il 47% dei posti di lavoro siano minacciati dalle nuove tecnologie, in Europa tra il 40% e il 60% – soprattutto nei settori manifatturiero, contabilità, traduzioni, vendite ecc.
Un altro rischio deriva dal delegare mansioni e compiti a lavoratori ben istruiti che vivono in paesi dove il costo del lavoro e le tutele sono nulli (è il caso, ad esempio, degli informatici filippini, che fanno concorrenza ai colleghi europei e statunitensi), compiti svolti a distanza che vengono spesso pagati “a cottimo”, anche a meno di tre dollari l’ora.
Infine, la polarizzazione della società. Sono infatti proprio coloro che hanno un’istruzione di livello medio, medie competenze e salari medi ad essere maggiormente tagliati fuori dal mondo del lavoro, schiacciati tra un élite altamente qualificata e una massa di lavoratori very low-skilled.
Una polarizzazione che potrebbe trascinare verso il basso la sicurezza sociale e erodere la base fiscale imponibile.
In queste fabbriche intelligenti che vanno da sole, nelle aziende che cercano di digitalizzare tutto ciò che è possibile digitalizzare, c’è il rischio concreto non solo di veder svanire milioni di posti di lavoro ma anche di veder eroso il capitale umano che resta la più grande ricchezza di ogni impresa
Uno studio realizzato nei 15 maggiori Paesi industrializzati e presentato nel gennaio scorso all’ultima edizione del World Economic Forum, per esempio, ha stimato in 5 milioni di unità il numero di occupati che potrebbero perdere il posto già prima del 2020, proprio a causa dell’avvento dell’Industry 4.0 e delle innovazioni tecnologiche che la caratterizzano.
La cosa ancor più allarmante è che, a essere colpiti da questa emorragia occupazionale, non saranno solo e non tanto le professioni tradizionalmente considerate mestieri di fatica, per esempio la colf o l’uomo delle pulizie, sostituiti da robot-maggiordomi o gli autisti e i camionisti, rimpiazzati dai veicoli automatici.
La perdita maggiore di posti di lavoro potrebbe verificarsi tra mestieri di livello medio o medio-alto, che si basano su una buona dose di lavoro intellettuale.
Lo studio prevede un saldo occupazionale negativo del 5% (sempre da qui al 2020) per i lavori d’ufficio, legati a funzioni amministrative delle aziende.
Una contrazione dell’1,6% circa ci sarà nel settore manifatturiero e dell’1% nel mondo dei media e dell’intrattenimento.
Operatori dei call center, impiegati di banca, contabili, ragionieri, receptionist o addetti al controllo di qualità e al controllo di gestione: ecco alcuni mestieri che rischiano di sparire o comunque un forte ridimensionamento, per via della rivoluzione tecnologica in atto oggi nei maggiori Paesi industrializzati.
Persino i private banker o i consulenti finanziari ed assicurativi che gestiscono i soldi e le necessità assicurative dei risparmiatori e hanno un forte legame personale con la propria clientela, potrebbero essere rimpiazzati dai cosiddetti robo-advisor, cioè da software che già oggi sono in grado di costruire in automatico dei portafogli di investimento, attraverso algoritmi matematici.
Per contro, secondo i dati del World Economic Forum, un aumento di occupati tra il 2,5 e il 3% si registrerà invece (com’è ovvio che sia) nelle aree dell’informatica, dell’ingegneria e della progettazione. Con l’avvento dell’Industry 4.0, insomma, ci saranno come al solito vincitori e vinti.
Ma quale sarà l’effetto complessivo sull’economia?
Nel lungo periodo, sostengono gli economisti, gli effetti saranno sostanzialmente positivi. Secondo uno studio realizzato dalla società di consulenza Roland Berger, con la quarta rivoluzione industriale si possono creare entro il 2035 7 milioni di nuovi posti di lavoro in tutta Europa e generare investimenti e profitti per 420 miliardi di euro. Se parecchi mestieri scompariranno, insomma, ne nasceranno molti altri pronti a rimpiazzarli.
L’importante è che l’Europa e soprattutto l’Italia siano pronte ad affrontare questa sfida che oggi si gioca su scala globale, dalla Cina al Giappone, passando per gli Stati Uniti.
Meglio prepararsi piuttosto in anticipo, ben sapendo che il mercato del lavoro ha bisogno di nuove figure e deve spostare più in alto l’asticella delle competenze degli occupati.
In questo senso diviene fondamentale il ruolo della Università come principale vettore di una didattica innovativa e orientata al cambiamento.
Ecco, quindi, perché l’istituzione di un Corso di Laurea, disegnato sulle esigenze reali di un primario comparto di mercato, diviene strumento di un cambiamento al quale tutti siamo tenuti a partecipare.
IGB ha raccolto questa sfida ed ha fatto propria questa esigenza: l’augurio è che sempre più aziende operanti nel settore assicurativo vogliano contribuire a far sì che il traguardo del cambiamento venga raggiunto senza sacrificare, anzi esaltando la unicità del capitale umano.
“Ed è per questo che invito le imprese di settore a sottoscrivere la convenzione non vincolante e a costo zero con l’Università, seguendo l’esempio della Febaf guidata dal Prof Paolo Garonna che pure ringrazio” ha concluso Angelo Coviello.