Marco Cappato ha presentato a Napoli il suo libro dal titolo Credere, disobbedire e combattere intervenendo alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martiri martedì 5 giugno. Assieme al tesoriere dell’Associazione Coscioni è intervenuto anche lo scrittore Paolo Isotta che ha ricordato l’esperienza (che dura ancora) del Cappato radicale e stretto collaboratore di Marco Pannella, definendolo “Il miglior politico oggi in Italia”. Dopo l’introduzione di Isotta è intervenuto Cappato in veste di autore che, inevitabilmente, ha ragionato su non pochi aspetti del dibattito politico non senza cenni ai temi che il dibattito rifiuta di porre al centro. Il primo argomento ha riguardato però l’origine del nome del libro, che riprende uno slogan di epoca fascista: “Credere, obbedire e combattere è stato un motto efficace, che ha funzionato. Corrispondeva a un momento storico dove la democrazia liberale ottenuta nell’ottocento non si dimostrava capace di farsi carico delle nuove esigenze sociali, del proletariato e delle masse che non riuscivano a trovare uno sbocco o una rappresentanza politica. Quando la democrazia, all’epoca elitaria (non votavano le donne) e quindi una democrazia con tutti i suoi limiti anche di censo, non riesce a rappresentare la realtà sociale, una strada è quella della violenza. Della rivoluzione nel senso più violento del termine e funziona, almeno nel breve periodo. Infatti ha funzionato; l’Italia era, con quel motto, all’avanguardia nel mondo. Pannella ricordava spesso che il piccolo paesino agricolo è stato scuola rispetto al nazismo. Ma anche gli Stati Uniti hanno ammirato la prima parte del regime fascista, la novità, il cambiamento diremmo oggi. La scorciatoia della violenza produce alcuni effetti e non propongo ricostruzioni storiche né suggerisco che le cose oggi stiano andando come allora ma, ormai, un fatto dato per scontato da tutti è che se abbiamo una speranza importante per la nostra vita, nessuno più si illude che quelle speranze trovino uno sbocco democratico passando per il voto ogni tot anni”.
Spazio quindi a considerazioni su come interfacciarsi in modo nonviolento con un quadro politico e sociale ormai distante da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni: “Quelle che un tempo erano le grandi cinghie di trasmissione, partiti o sindacati, non sono ritenute più adeguatie a portare le istanze sociali nell’ambito delle decisioni politiche. E allora? Che si fa? Una strada è chiara, il carico di demagogia e violenza verbale è un approccio che di solito viene, soprattutto da una certa intellettualità, definita con un po’di disprezzo: come parlare alla pancia della gente e quindi parlare attraverso la paura, le manipolazioni, le fake news, oppure un’elite intellettuale che invece vuole ragionare e parlare alla testa delle persone. Se noi rimaniamo in un quadro del genere, oltre a non essere sempre rispondenti alla realtà, la conseguenza è molto precisa, si perde. In democrazia e nella vita non vogliamo perdere avendo ragione ma vorremmo che le nostre idee trovassero una conseguenza nella politica. Io ritengo che nella nonviolenza politica di Marco Pannella, che ha attualizzato insegnamenti che non ha scoperto lui – la storia della nonviolenza è millenaria, basti pensare a Gandhi, effigiato nel simbolo del Partito Radicale – il messaggio era proprio l’emozione della gente. Questo non è un disvalore in politica. Non si può pensare che da una parte ci sia la paura e noi ci si debba trincerare dietro al razionalismo istituzionale”.
Quindi Cappato propone di contrastare alle emozioni della “pancia”, quelle della testa e del cuore: “La passione può essere anche la passione della libertà, non è solo la paura a emozionare e a conquistare. La nonviolenza è il tentativo di scommettere mettendo in gioco il corpo, la libertà individuale e non la violenza contro gli altri, per cercare di muovere la parte migliore delle persone. La parte migliore, così come quella peggiore, è dentro di noi. Non siamo tutti buoni o cattivi. Quel popolo mondiale commosso ed emozionato vedendo la foto del bimbo siriano morto annegato sulla spiaggia, è lo stesso popolo nella stragrande maggioranza che dice andatevene via, non vi vogliamo più. Lo stesso popolo che vuole buttare via la chiave delle celle, è lo stesso – con eccezioni – che se gli mostri una cella di Poggioreale o gli racconti la storia di una persona che sta in carcere per anni in attesa di giudizio per poi essere dichiarata innocente alla fine del processo, si commuove. Quindi la pancia ma anche l’emozione dell’intelligenza. È un’emozione, però, che arriva quando la vedi perché lo sappiamo tutti che i bambini siriani, maliani, sudanesi, somali, muoiono nel Mediterraneo ma l’essere umano è così, non è razionalità pura”.
Cappato ha spiegato cos’è e come prende corpo la nonviolenza: “La nonviolenza politica è finalizzata a discutere attraverso il processo, appassionandosi a favore o contro riconoscendo quanto ciò è collegato alla vita delle persone. E allora credere, disobbedire e combattere non sfregia soltanto l’obbedienza ma cambia il senso anche al credere e al combattere: il credere non all’autorità rivelata ma nell’importanza di ciò che ciascuno vive per se stesso, come fatto potenzialmente politico e importante per tutti. È li che un uomo paralizzato che non poteva neanche parlare, lo faceva con gli occhi, come Luca Coscioni ha inserito il tema della libertà di ricerca scientifica nella politica italiana. È lì che Fabo, cieco e tetraplegico con 50 spasmi di dolore al giorno, ha ottenuto la legge sul testamento biologico. È così che persone nelle condizioni più deboli hanno ottenuto grandi cambiamenti. Il combattere non è un combattere contro ma per, è il tentativo di convincere e ottenere riforme di libertà. Non è necessario essere giganti della storia come Gandhi, Martin Luther King o Pannella ma riguarda ciascuno di noi”.
L’autore ha citato poi una storia presente nel suo libro che come filo conduttore ha proprio le numerose disobbedienze civili su più temi, poste in essere negli anni da Cappato: “Se oggi le donne italiane possono fare l’analisi genetica preimpianto con la procreazione assistita o le coppie possono fare la fecondazione eterologa, cosa che nel 2004 non era possibile in base alla Legge 40, oggi è possibile grazie a poche coraggiose donne. E il Parlamento non ha mai discusso. È successo grazie a un pugno di donne, una in particolare, che dopo quattro aborti non poteva fare l’analisi preimpianto ma solo dopo. Ha detto io non ci sto portando la sua storia in tribunale invece di andare in Spagna e spendere 7-8 mila euro. E’ rimasta qui fino alla Corte Costituzionale e grazie a quella donna come ad altre, a Filomena Gallo (segretaria Associazione Luca Coscioni) e alle associazioni, oggi quel divieto non esiste più perché dichiarati incostituzionali dalla Corte senza una discussione in Parlamento su quella legge”.
Cappato, per questo e altri casi, ha parato del “valore di non rassegnarsi”. Una caratteristica che ha riscontrato anche nel caso di Dj Fabo: “Fabiano Antoniani, Dj Fabo, se avesse voluto si sarebbe potuto affidare a Mario Riccio, anestesista che ha seguito anche Piero Welbi e morire a casa sua con l’interruzione delle terapie. Sedazione, distacco della nutrizione e idratazione e nel giro di massimo una settimana, dicono i periti del Tribunale, poi sarebbe morto. Fabo, quando gli ho prospettato questa possibilità, ha rifiutato con forza perché non voleva i suoi cari, costretti a giorni d’inferno finalizzati solo a constatare l’avvenuto decesso. Io voglio pochi minuti dove si può fare, salutare chi mi ama e andarmene dignitosamente e senza soffrire, questo voleva Fabiano. Dj Fabo o Welby, non volevano essere modelli, qui non si parla di vite non degne di essere vissute. Se una persona vuole resistere per anni alla malattia e Fabo avrebbe potuto per dieci, quindici o vent’anni, deve essere aiutata a farlo. Non voleva essere un esempio, era la sua scelta”.
Oltre a una questione di diritti, la vicenda solleva anche quella dell’equità e dell’uguaglianza: “Se Fabo non avesse avuto dodici mila Euro o se Fabo non fosse vissuto a Milano ma al Sud, sarebbe stato molto più difficile arrivare in Svizzera. Probabilmente non ci sarebbe potuto andare. L’autodenuncia ha determinato l’azione penale, che in teoria dovrebbe essere obbligatoria, perché dopo che io ho portato Fabo e Mina Welby ha accompagnato Davide Trentini, altro caso per cui siamo imputati, altre decine di persone sono state in Svizzera e lo stato riceve comunicazioni di morte (guarda caso) di italiani andati a morire in quei paesini dove sorgono quelle strutture. Ma non aprono inchieste perché le inchieste contribuirebbero a sollevare lo scandalo di leggi per le quali se vuoi morire dignitosamente devi essere nelle condizioni economiche e di salute per potertelo permettere”.
Cappato ha spiegato come la disobbedienza civile possa ancora essere decisiva per salvaguardare la democrazia in crisi e i diritti, oggi come in futuro: “La disobbedienza civile la intendo come possibilità di rivitalizzazione di una democrazia che sta perdendo slancio. questo è ancora più vero se consideriamo la vera rivoluzione che può sconvolgere l’umanità. La modificazione del genoma è quel processo scientifico attraverso il quale già oggi l’essere umano è in grado di cambiare la natura di vegetali, animali e anche dell’uomo. Un anno fa, a luglio, è stato pubblicato su Nature il primo esperimento sull’uomo di modificazione genetica con la rimozione di precisione di un gene responsabile di una malattia cardiaca che può condurre alla morte. Ci sono potenzialità enormi ma anche dei rischi. Il primo è la disuguaglianza perché se non governiamo un processo del genere attraverso la democrazia e lo Stato di Diritto, nel giro di due generazioni abbiamo un’umanità geneticamente migliorata per chi se lo può permettere e un’umanità che resta al palo che nemmeno emigrando, lavorando o studiando potrà recuperare uno svantaggio genetico dalla nascita. Se le nostre democrazie invece di governare questo processo e di investire soldi pubblici rispondono con le proibizioni, l’effetto è uno: governerà questo processo la Cina o le tecnocrazie, i regimi dittatoriali, i regimi autoritari”.
Marco Cappato non ha nascosto preoccupazione per la tenuta della democrazia in Occidente: “A quel punto la favola della democrazia ha gli anni contati. Il modello occidentale, con tutti i suoi limiti e difetti, è stato riconosciuto nella sua superiorità geopolitica non solo per gli ideali, l’uguaglianza e la libertà ma anche perché ha garantito maggior benessere rispetto al modello sovietico o altri. Ma se nei prossimi 10-15 anni le cosiddette democrazie liberali cominciano a essere più povere e incapaci di produrre benessere di quanto non siano le dittature, il modello della democrazia liberale salta per aria. Dodici anni fa ho preso tre embrioni congelati da un centro di fecondazione assistita e li ho spediti in Svezia facendo una conferenza stampa per raccontare cosa avevo fatto. La legge 40 ancora oggi vieta la ricerca sulle cellule staminali embrionali. All’epoca c’era una piccola parte della comunità scientifica che riteneva inutile questa ricerca, risultato ad Aprile dell’anno scorso alle Nazioni Unite di Ginevra, con Marco Perduca, abbiamo ospitato Malin Parmar una scienziata svedese che ha raccontato come sta facendo ricerca scientifica sull’uomo utilizzando staminali embrionali contro il Parkinson. Quella ricerca che da alcuni veniva definita inutile rappresenta forse la più grande speranza contro il Parkinson e già oggi contro molte malattie dell’occhio. Se Malin Parmar facesse questa ricerca a Napoli o Italia sarebbe condannata a tre anni di carcere e a 150 mila euro di multa, potrebbe vincere il premio Nobel ma da noi potrebbe vincere la galera. Non si parla di queste cose durante le campagne elettorali perché sono temi che dividono. Allora se la democrazia si dimostra incapace di affrontare temi da cui dipende il futuro della nostra vita e della democrazia stessa, il punto per gli scienziati, i malati e ciascuno di noi è cercare di operare delle forzature per spiegare non solo in astratto ma fisicamente le conseguenze del proibizionismo sulla ricerca scientifica”.
Disobbedienza civile che va inserita in un contesto di dialogo col potere col fine di rafforzare la democrazia, oggi fragile: “Disobbedienza civile non come gesto libertario anarcoide di contestazione, con tutta la simpatia per i gesti libertari, ma qui cè qualcosa di piiù profondo in gioco: l’adeguatezza del diritto a governare i grandi problemi della nostra società. Non si deve pensare che il non potersi avvalere di una libertà sia un fatto privato, l’ottusità del potere non deve isolare. Esistono ormai tantissime app inutili ma non esiste un sistema semplificato di interazione digitale con il potere. Chi è responsabile se un ascensore per disabili non funziona? Chi ha deciso quest’opera pubblica? Come fare per raccogliere firme? La democrazia è l’unica attività umana che non è stata digitalizzata. Non lo Stato, quello sì, basta vedere che tasse o multe si possono pagare su internet ma per le firme da raccogliere niente online, bisogna utilizzare i moduli, farli vidimare, andare al Comune, chiedere l’autorizzazione per i tavoli, magari non la danno perché c’è il mercato, poi finalmente la si ottiene ma non è finita. Serve l’autenticatore e una volta raccolte le firme vanno certificate, ovvero andare a chiedere allo Stato se le persone che hanno firmato sono davvero quelle, perché poi dovete dirlo allo Stato! Quindi lo Stato deve dire a se stesso che quella persona è effettivamente quella persona. La democrazia è l’unica attività rilevante umana dove non abbiamo app né digitalizzazione”.
Infine, un riferimento ma anche un monito sul momento attuale in Italia e più in generale nei paesi dove la democrazia è minacciata: “Non si deve essere ne ottimisti ne pessimisti ma la democrazia è in una crisi seria che è anche crisi di popolarità. Se fino al crollo del Muro di Berlino parlavate male della democrazia era come parlare male della mamma. Oggi la democrazia è considerata impopolare, fondamentalmente perdente e ci sono ormai interi continenti per i quali la parola democrazia è soltanto un elemnto di inganno per nascondere i poteri forti. Se ci rassegniamo a questo non escludo che si trovino modi migliori per governare gli affari umani, ne ho molti dubbi e penso ci sia ancora urgenza di preservare la democrazia e il diritto magari anche attraverso la disobbedienza civile”.
Fabrizio Ferrante