Approfondimenti

Napoli capitale delle arti sanitarie

Soprattutto il secondo, l’11 gennaio 1983 destò scalpore e per una cronaca più dettagliata dell’avvenimento rinviamo al capitolo “Dalla ruota dell’Annunziata al signore delle nascite”, contenuto nel 1° tomo del mio “Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli”, mentre per il “Museo delle arti sanitarie” a pag. 157-159 del 2° tomo. (Entrambi consultabili su internet).
Proprio in questi giorni in questa splendida struttura ospitata nelle sale dell’ospedale degli Incurabili vi è una mostra sul mestiere del cavadenti tra arte, medicina e “torture”.
Chi entra in uno stato d’ansia al solo pensiero del dentista, dovrebbe invece provare sollievo immaginando quello che avrebbe dovuto affrontare se si fosse vissuto qualche secolo o anche qualche decennio fa. Oggi ce la caviamo con anestesie locali e antibiotici ma un tempo le estrazioni dentarie erano appannaggio di barbieri (nelle vesti di chirurghi), di cerusici ambulanti e persino di veri e propri ciarlatani che, dopo aver stordito il malcapitato con un bel bicchierino di alcol, poi interveniva spesso peggiorando la situazione. La lugubre fama del cavadenti ha avuto la sua diffusione anche a Napoli e si ripercorreranno le tappe principali di questa storia nella mostra «il cavadenti. Percorso museale nella storia dell’ odontoiatria e dell’odontotecnica».
«Un’esposizione senza precedenti nel suo genere» la definisce Gennaro Rispoli, fondatore e direttore del museo, «che offre al visitatore la possibilità di godere del racconto, caratterizzato da un tono divulgativo e a tratti ludico, dell’incredibile storia della cure rivolte alla dentatura degli uomini, dal Seicento al Dopoguerra». Gli Incurabili come luogo di questa esposizione non è stato scelto a caso, perché è proprio nella cittadella sanitaria di Caponapoli, dedicata alla cura dei malati sin dal Medioevo, che alcuni protagonisti della storia della medicina, come Filippo Ingrassia e Marco Aurelio Severino, hanno riconosciuto per primi una dignità scientifica a quella che fino ad allora era una pratica considerata di secondo piano. Sempre agli Incurabili, poi, un altro luminare della medicina, Domenico Cotugno, alla fine del ‘700 si interessò ai nervi mandibolare e linguale, e alla relazione esistente tra il dolore al dente e quello all’orecchio.
E del resto proprio a Napoli, quasi un secolo prima, nel 1632, il barbiere Cintio d’Amato aveva pubblicato il “Nuova et utilissima prattica”, ossia il primo libro in lingua italiana in cui la materia odontoiatrica è trattata in maniera molte estesa indipendentemente dalla medicina generale e dalla chirurgia, affrontando soprattutto gli aspetti igienici ed estetici, compresi i suggerimenti per il trattamento delle gengive e il modo di mantenere i denti bianchi e senza tartaro. Ma Napoli detiene altri primati, anche più recenti, nell’ambito della cura dei denti: qui nel dopoguerra si insegnò per la prima volta in Italia la chirurgia maxillo-facciale, mentre nel 1957 parola prima vera campagna di igiene orale senza precedenti nel resto del Paese.
Ma ciò che colpisce di più è la mostra, con l’esposizione inedita degli strumenti un tempo utilizzati dal dentista. Grazie alla ricchissima “Collezione Gombos” è possibile osservare – con un misto di terrore mettendosi nei panni di chi ha avuto mal di denti prima di noi, ma anche di sollievo per averla scampata bella – centinaia di pezzi tra macchinari d’epoca, antichi ferri per estrazione, attrezzature rare, campioni di caucciù usati un tempo come resina per le protesi, vecchie stampe, fotografie, libri e, ovviamente, denti di ogni foggia e provenienza. «Certi ferri del mestiere erano di una brutalità incredibile» sottolinea Fernando Gombos, «basti pensare al pellicano, uno strumento che si inseriva tra le radici da estrarre e, facendo leva sul mento o sui tessuti circostanti, strappava letteralmente il dente. Oggi è una passeggiata, le nostre paure di andare dal dentista sono solo un retaggio culturale».
Raffaele della Ragione

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