Dallo scorso agosto, almeno 700.000 rohingya, (I Rohingya sono un gruppo di fede musulmana che risiede principalmente in Myanmar nello stato di Rakhine, al confine con il Bangladesh e fanno parte degli strati più poveri della popolazione) soprattutto donne e bambini, sono scappati nel vicino Bangladesh e vivono attualmente, tra enormi difficoltà, in campi profughi ormai al limite del collasso Naypyidaw. Purtroppo ancora, migliaia di rohingya continuano a fuggire dallo stato di Rakhine, in Myanmar. Ieri, a Ginevra, durante un intervento al Consiglio Onu dei Diritti Umani, ha dichiarato: «nei primi sei mesi del 2018, oltre 11.000 nuovi arrivi sono stati registrati in Bangladesh. Nessuna retorica può occultare i fatti, le persone sono ancora in fuga dalle persecuzioni nello stato di Rakhine e addirittura pronte a rischiare di morire in mare per fuggire». L’Alto commissario ha esortato il Consiglio di sicurezza a deferire immediatamente il Myanmar alla Corte penale internazionale dell’Aja affinché «possano essere indagate tutte le accuse di crimini contro l’umanità e di genocidio perpetrato contro i rohingya, così come le accuse di crimini di guerra contro altri gruppi etnici». Tre giorni fa, nei campi profughi rohingya nel Bangladesh sudorientale, c’è stata una visita del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, e il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim. I due personaggi, arrivati prima a Dacca per sollecitare contributi dei donatori ai profughi, hanno trascorso alcune ore a Cox’s Bazar, il campo che ospita centinaia di migliaia di persone. Accompagnati dal ministro degli esteri bengalese Abul Hassan Mahmood Ali e dall’Alto Commissario dell’Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, hanno incontrato alcuni profughi, volontari delle ong e funzionari locali. Si spera che con la visita dei due importanti funzionari possono arrivare aiuti che permetterebbero, ai rifugiati una condizione umana accettabile.
Raffaele Fattopace