di Mariano D’Antonio
Nell’estate che avanza, alle sfide che il governo Conte-Di Maio-Salvini lancia ai cittadini e col Parlamento che finalmente discute i primi provvedimenti governativi dopo due mesi d’inerzia, è sempre più evidente che manca agli italiani un tassello importante dell’assetto istituzionale. Manca un partito della sinistra democratica attrezzato, con organi dirigenti adeguati e soprattutto articolato per i territori, a partire dalle grandi città come Napoli.
Solo di recente si è avviata una prima riorganizzazione del Partito Democratico, con l’elezione di un nuovo segretario, Maurizio Martina, coadiuvato da una segreteria composta da 13 membri. Ed è significativo che uno dei designati a far parte della segreteria, il deputato Francesco Boccia, abbia rinunciato all’incarico perchè il suo grande elettore di riferimento, Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, non era d’accordo con la sua designazione. Emiliano è uno di quegli esponenti del PD che a suo tempo contese nelle primarie l’incarico di segretario a Matteo Renzi e ottenne nella votazione il terzo posto dei consensi dopo Renzi e Orlando, come egli meritava per la sua figura di ex magistrato divenuto politicamente un populista.
Ci sono altri segnali di perdurante instabilità nell’assetto or ora raggiunto nella composizione degli organi dirigenti del PD. A Napoli in particolare la vita interna del Partito è asfittica: manca un’aperta, libera discussione sulla strategia da seguire in vista delle prossime scadenze elettorali, sulle votazioni per gli eurodeputati, sull’elezione del nuovo Consiglio regionale e del presidente della Regione Campania. Si leggono soltanto sortite estemporanee di alcuni dirigenti. Ad esempio l’ex ministro della giustizia Orlando si è detto favorevole a sostenere la candidatura del sindaco di Napoli uscente Luigi de Magistris alle elezioni regionali prefigurando la convergenza del PD su questo candidato. Insomma Orlando ha dato il benservito al presidente uscente della Regione Campania Vincenzo De Luca, esponente del PD, un benservito non si sa a nome di chi, di quale istanza del partito.
Se facciamo lo sforzo di sorvolare su queste e altre miserie di protagonismo insensato, osserviamo che perdura la tentazione che il PD su scala nazionale si collochi a fianco del Movimento 5 Stelle, del governo Di Maio, nella discussione parlamentare sui primi provvedimenti legislativi in corso di approvazione. E’ come se alcuni esponenti del PD coltivassero il disegno di sostituire la Lega di Salvini al primo segnale di crisi del governo Conte, insomma cercassero di aprire la strada ad una coalizione tra M5S e PD fidando sulla riluttanta di tanti parlamentari a lasciare il Parlamento per lo scioglimento delle Camere.
Eppure oltre le scadenze contingenti rimangono in piedi molti interrogativi sul futuro delle nostre istituzioni rappresentative, in particolare sulle politiche che potrebbero essere adottate per affrontare alcune questioni scottanti tuttora aperte.
Ad esempio è evidente che nel Mezzogiorno la povertà diffusa specie tra i giovani non può essere affrontata soltanto con misure redistributive come il reddito di cittadinanza. Il sostegno ai cittadini indigenti richiede di operare su due fronti: in primo luogo creando nuove occasioni di lavoro e poi assegnando sussidi a chi per l’età avanzata e la prolungata mancanza di un’occupazione non è in grado di sopravvivere decorosamente.
Ma la creazione di lavoro richiede una mobilitazione di massa e un sostegno politico qualificato a chi intende avviare un’attività stando sul mercato: recuperando terre incolte e proprietà abbandonate dai malavitosi, creando cooperative per l’assistenza sociale agli indigenti, individuando lo spazio per produrre merci, beni e servizi, con piccole imprese godendo di incentivi, di contributi e sgravi fiscali. L’abbinamento di un’opportunità di lavoro produttivo con un sostegno al reddito è stato il provvedimento del cosiddetto reddito d’inserimento avviato dai governi Renzi e Gentiloni. Un altro provvedimento varato dal governo di centrosinistra prima d’essere soppiantato dal governo Conte è stata la legge detta “Resto al Sud” per la creazione di imprese di giovani.
Questi esempi richiedevano e tuttora richiedono che accanto alle istituzioni democratiche siano presenti e attivi nella società movimenti politici di massa capaci di smuovere le energie positive latenti nella popolazione meridionale e di tracciare per i cittadini ipotesi, progetti di lavoro da creare col sostegno delle istituzioni affiancando l’erogazione di sussidi ai poveri. C’è bisogno insomma di un Partito radicato tra la popolazione, capace di guidare le istituzioni rappresentative ma soprattutto capace di svolgere la funzione di magnete che raggruppa, mobilita, traccia nuove opportunità di lavoro realizzabili.
Se non farà questo il PD nel Mezzogiorno, lo spazio politico sarà occupato dai dilettanti e dai demagoghi del Movimento 5 Stelle, alleati zoppicanti della Lega di Salvini che è radicata al Nord tra i ceti produttivi e persegue il disegno di rafforzarli concedendo uno spazio asfittico, residuale alla redistribuzione di risorse per i meridionali poveracci.
*Articolo pubblicato su Qualcosa di Napoli