”Adesso piazzetta, fontana e panchine sono un ricordo.
Tabula rasa: solo pietre e polvere. Chissà se facevano davvero le serenate, quando ad Amatrice c’erano ancora le finestre, con le case e le strade e tutto il resto”. Si perché tutto parte da una serenata, una straordinaria serenata inedita di Belli, scritta proprio nel dialetto di Amatrice dove il poeta della romanità chissà come e chissà perché, passava le vacanze. Da qui parte Elena Polidori, giornalista che scrive per le pagine economiche de la Repubblica in ‘Amatrice non c’è più’, un libro, quasi un romanzo, per raccontare ieri e oggi con curiosità e insaziabile affetto un luogo sepolto dalla polvere. Un atto d’amore, come una serenata appunto, per un luogo così amato già dal padre, al punto da divenirne persino sindaco per due volte, dopo averlo scelto come luogo di studio e di relax. Ma la polvere non ha sepolto la storia. ”Nulla era come prima”, si vedeva il cielo dove c’era stata la torre, rimanevano le piante ma non le mura sbriciolate. Allora, distrutta anche l’ultima tazza che ricorda la storia della famiglia, serve un taccuino per non dimenticare. Una dichiarazione d’amore, per un luogo che era rifugio, sostegno, consolazione fin da piccoli. Poggio e il suo carico di odori forti, di tempi spensierati, che nella mente dell’autrice torna come una poetica cantilena per rendere omaggio alla bellezza di qualcosa che non esiste più, se non nella sua mente. Non un posto glamour, un luogo dove non si incontrava nessuno, dove si facevano chilometri a dorso di mulo, passeggiate in montagna.