Il momento è catartico.
Alle 20,15 dello scorso venerdì, squilla il telefono. Rispondo, è il direttore di Agenzia Stampa Italia, giornale on line con cui collaboro da un po’ di tempo.
«Pasquale so che siamo ormai a ridosso del match, ma poco fa la Lega Calcio mi ha comunicato di aver accettato l’accredito. Domani sera sarai il nostro inviato all’Olimpico per la finale di Coppa Italia». Un attimo dopo, il direttore del sito Linkabile, mi contatta per chiedermi di stilare un reportage dell’incontro. Non sto più nella pelle. Io, giovane giornalista in rampa di lancio, inviato all’Olimpico.
Decido che l’occasione che mi si presenta davanti è una di quelle da non lasciarsi scappare. Sarà bello viverla in prima persona, sarà bello raccontare un evento gioioso mentre ultimo l’acquisto dei biglietti del treno via internet. Trascorro una notte relativamente tranquilla, riesco persino a dormire un p0′. Al mattino, dopo aver messo qualcosa in borsa ed aver preparato il mio inseparabile kit da lavoro, vado in stazione a Napoli. Il treno è in ritardo di mezz’ora. Resto tranquillo e conto le ore che mi separano dal grande evento.
Giunto a Roma, prendo la metro, direzione Cincecittà. Lì mi attendono alcuni miei amici sacerdoti che, armati di buona volontà e spirito di sopportazione, mi “consegnano” le chiavi della loro auto. «Attento, mi raccomando. E goditi lo spettacolo», mi sussurra all’orecchio il buon padre Rosario. Già, lo spettacolo dello stadio Olimpico, lo spettacolo della finale di Coppa Italia. Posiziono il caro tom tom in macchina e parto. Lungo il tragitto, che prosegue senza intoppi, mi vedo già lì, seduto alla mia postazione in tribuna stampa. Arrivato nei pressi dello stadio, parcheggio l’auto e mi incammino verso la zona della tribuna Tevere, dove ritirerò l’accredito. Passeggiando, incontro tifosi della Fiorentina, festanti, gioiosi, con il volto sorridente di chi si sta godendo a pieno il momento. Capita di imbattermi in tifosi del Napoli, armati di tutto punto di sciarpe e bandiere: sì, di sciarpe e bandiere.
Intonano cori di scherno verso i nemici storici della Juventus. Semplici sfottò, nulla più. Mi colpisce il viso di due bambini, avranno all’incirca sette, otto anni o giù di lì. Si tengono per mano, si guardano, sorridono. Al collo hanno due sciarpe di colore diverso. L’una è viola, l’altra azzurra. «Che bello» mi dico, mentre osservo i genitori con il volto sorridente. Arrivo nei pressi dello stadio dei Marmi e finalmente ritiro l’accredito.
Non sto nella pelle: è la prima volta in assoluto che mi reco allo stadio Olimpico e, per di più, in “vesti ufficiali”.
Attraverso la zona dell’Obelisco e vedo tifosi della Viola giocare a pallone, mentre qualche goccia d’acqua inizia a cadere sulla mia testa. Il clima di festa, però, si percepisce nell’aria. Finalmente arrivo all’ingresso riservato alla stampa e dopo aver superato il varco, mi accingo ad entrare. Sono dentro: che gioia, che emozione. Dopo essermi registrato nella zona del desk, all’ingresso della Tribuna Stampa, chiedo ad un ragazzo come fare per entrare in tribuna stampa. «Sali le scale» mi dice «e continua dritto. Non ti puoi sbagliare». Mentre salgo quei gradini, il sangue ribolle nelle mie vene. Non ci credo, sono all’Olimpico, e tra poco prenderò posto in tribuna. Dopo un po’ di cammino, entro. Lo stadio è stupendo, il pubblico inizia ad affluire in massa. Sciarpe, bandiere, striscioni. E’ un tripudio di colori. Nonostante il cielo sia grigio, sembra di intravedere lassù il viola che si mischia all’azzurro, in un turbinio di colori.
Prendo posto finalmente in tribuna. Qualcuno cammina velocemente davanti a me. Si odono scoppi in lontananza. Mi chiedo cosa possa essere successo, in cuor mio spero che sia tutto a posto. L’aria allo stadio sembra tesa, si avverte una tensione crescente. A ridosso dell’inizio del match, si sparge la voce che un tifoso napoletano è stato ferito. «Ma come?» mi chiedo. Eppure quando sono entrato tutto sembrava in ordine, ogni cosa era al suo posto. La felicità regnava sovrana tra la gente. «Hanno sparato ad un tifoso napoletano» sento dire in lontananza. «Ultrà romanisti hanno teso un agguato ad un gruppo di tifosi napoletani. Ci sono stati tre tifosi feriti, uno è in gravissime condizioni» odo ancora più in là. Ma come è possibile? E’ una bella giornata di festa, non può essere.
Le squadre ritardano l’ingresso in campo, la situazione non è delle migliori. Hamsik, capitano del Napoli, si reca sotto la curva occupata dai sostenitori azzurri. Vedo un conciliabolo in lontananza. Volano petardi in campo. “No, non è possibile, non può essere” continuo a ripetermi. La situazione sembra evolvere al positivo.
«Le tifoserie hanno acconsentito al che si svolga regolarmente l’incontro, ma per solidarietà verso il tifoso ferito, non sosterranno la loro squadra del cuore». Hanno acconsentito? Ma come? Decidono gli ultras se si debba svolgere o meno un incontro di calcio? Strani pensieri iniziano ad affollare la mia mente. Intanto giungono notizie più precise circa l’episodio avvenuto, pare, nella zona di Tor di Quinto. “Tor di Quinto? Ma come, ci sono passato nel pomeriggio e la situazione era assai tranquilla”.
«Ciro Esposito, un trentenne napoletano, è stato ferito alla mano ed alla colonna vertebrale da un ultrà romanista, Daniele De Santis. E’ in condizioni disperate. Con lui, sono stati feriti altri due tifosi, in modo lieve». Questa la versione ufficiale. Intanto il match si sta svolgendo. C’è un clima surreale allo stadio. Il Napoli segna due volte, si esulta, ma non più di tanto. Il pensiero è altrove. La Fiorentina accorcia le distanze, i tifosi viola ci credono. Le loro speranze, sono però rese vane sul finire del match, quando il Napoli segna ancora, e si aggiudica così il trofeo. Fischio finale, invasione di campo di una parte dei tifosi.
“Non è possibile”continuo a dire a me stesso . La situazione per fortuna rientra, le squadre vengono premiate, il Napoli riceve la Coppa. Scendo in sala stampa, emozionato sì, ma confuso. Intanto penso a quel nome, Daniele De Santis, che mi suona familiare. Ecco, sì, finalmente ricordo. E’ quel tifoso romanista che nel lontano 2004 contribuì alla sospensione del derby tra Roma e Lazio, quando si sparse la notizia, poi rivelatasi totalmente infondata, che un bambino era stato investito da un’auto della polizia.
“Ancora lui” continuo a pensare.”Ma può definirsi un vero ultrà chi va’ allo stadio con pistole, coltelli, spranghe e bastoni? Ma sanno cosa significa essere realmente un ultrà, questi pseudo – tifosi?”. Fatico ancora a pensare a come possa essere accaduto tutto ciò, mentre lascio lo stadio e mi accingo a riprendere la macchina. “Sembrava filare tutto liscio, eppure…” Mentre torno a casa, mi chiedo se davvero valga la pena continuare a credere nell’ideale di calcio pulito, leale, onesto, non violento. “Io ci credo, sempre, nonostante tutto. I tifosi sono altri” continuo a ripetermi. “Ma cosa si può fare per evitare che tutto ciò accada?”.
Magari istituendo la finale di Tim Cup itinerante, magari facendola giocare andata e ritorno, e non in gara secca? Pensieri, pensieri e ancora pensieri. Si è fatto tardi, guardo l’orologio. E’ davvero molto tardi. Ci sarà tempo per pensare a queste cose, o no? In fondo sono stato all’Olimpico, in tribuna stampa, o sbaglio?
Non so, di certo è giunta l’ora di spegnere il pc. Domani il treno per riportarmi a casa non aspetta.