Le vicende che hanno preceduto e caratterizzato la finale della Coppa Italia con la partita Napoli- Fiorentina possiamo analizzarle solo alla luce delle immagini trasmesse dalla TV e delle relative informazioni dei me, quanto basta.
Al di là della rissa prima della partita con il ferimento del tifoso scampiese Ciro Esposito che ha bloccato per circa un’ora l’inizio della partita, a nostro avviso ci ha colpito l’oscenità e la volgarità di “Genny a’carogna” a cavalcioni in modo scomposto e prepotente sulla cancellata della curva occupata dalla tifoseria napoletana e parlottante con sicumera con il capitano della squadra napoletana, rappresentanti di società calcistiche e delle istituzioni.
Non conta tanto il pedigree giudiziario o l’ascendenza familiare, camorristico, quanto l’atteggiamento visibile di prepotenza in finale di una coppa che si disputava in una pubblica arena, che denotava appunto la “potenza” secondo la definizione in termini sociologici come possibilità di condizionare lo svolgimento della partita nell’affollato stadio. Questi e simili episodi di prepotenza e violenza nel mondo del calcio richiamano l’attenzione su settori della vita sociale che sembrano fuori dal controllo dello Stato. La conferma purtroppo è nei fischi che hanno accompagnato il canto dell’inno nazionale più per una sorta di bravura che denota estraneità ai riti repubblicani.
Nello stesso tempo in questa vicenda kafkiana dobbiamo rilevare che le parole ed i gesti erano quello che dicevano ma insieme non erano quello che dicevano. Ci riferiamo ai comunicati della questura e prefettura volti a calmare gli animi per evitare mali maggiori dal punto dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini per un mancato svolgimento del derby da disputare.
Era abbastanza chiaro che si trattava di “bugie” da parte di organi preposti alla sicurezza e sollevano il problema se lo Stato può dire “bugie” per una ritenuta giusta causa ed in ogni caso infirma la fiducia dei cittadini nelle affermazioni di organi istituzionali.
La controprova di queste pubbliche ambiguità risiede nella notizia oggi diffusa dai media che il ferito Ciro Esposito degente in condizioni critiche nella clinica Agostino Gemelli è in stato di arresto per rissa. I conti allora non tornano ed abbiamo bisogno di una informazione veritiera ai cittadini, e non basta l’affermazione del sindaco De Magistris, che pur è stato magistrato, che si tratta di un fatto surreale perché riguardante un ferito grave, o meglio che dopo indagini ci restituisce alla realtà dei fatti da verificare dagli organi giudiziari.
Di fronte alla curva dei tifosi napoletani sedevano i rappresentanti del Parlamento nella persona del Presidente del Senato Piero Grasso e del Governo in Matteo Renzi, che assistevano muti alle “trattative” comunque si vogliano intendere, e della Figc e delle società calcistiche. Non vogliamo parlare di “inutili idioti” perché ci sfugge se hanno svolto qualche parte nella vicenda poco edificante agli occhi degli spettatori non solo italiani. Tardive sono state le reazioni della segreteria PD e dello stesso Renzi sotto i profili qui evidenziati, preoccupato come Papa Francesco di un calcio sereno per famiglie e bambini di là da venire con opportune misure di prevenzione e di allontanamento dagli stadi di facinorosi e violenti. Caro Renzi, si tratta di guardare in faccia la realtà che pur hai visto che – coinvolge ultrà di diverse città italiane, club e società calcistiche – e di approfondirla per eliminare potentati settoriali che sfuggono allo Stato.
Last but not least, la notizia riportata del perdono accordato dalla madre dell’Esposito agli autori dell’agguato. E’ da apprezzare l’atteggiamento ma il perdono non può cancellare l’aggressione alla vita con il grave ferimento del figlio secondo il tenore del quinto comandamento ed inoltre secondo l’insegnamento cattolico il perdono è accordato a chi si pente e non può essere facilmente annunziato. Ci si perdoni la precisazione, per non fare d’ogni erba un fascio.
In questa vicenda c’è tutto un sussurro e/o non detto per interessi poco chiari che preoccupa, da far venire alla luce.