di Toni Negri
Avenue des Champs Elysées, notte di Capodanno. Racconta una giornalista di Le Monde: c’è tanta gente, qualche Gilet Jaune. Un bambino sovraeccitato li vede e grida: “Papà, guarda, dei Gilets Jaunes!”. “Non ti avvicinare”, risponde il babbo, “guarda prima se sono dei Gilets Jaunes gentili o dei Gilets Jaunes cattivi”.
Direi che, dalla sesta giornata di sabato 22 dicembre, nella quale si sono avute gli ultimi grossi scontri e violenze, il dibattito nazionale francese è stato rinchiuso in quell’alternativa tra i buoni e i cattivi. Su chi fossero i cattivi, nessun problema: erano definiti “fascisti”, ed antisemiti, accusati di aver impedito la libertà di pensiero attaccando alcuni giornalisti, di essere sollecitati da troller russi… Secondo il primo ministro: “un solo viso, vile, razzista, antisemita e putschista”. “È evidente che a fronte della violenza si ricorrerà a risposte più radicali”. Inoltre stanno diventando sempre di meno, con ridicoli calcoli, ogni giorno il Ministero degli Interni lo registra… Macron: “E ora l’ordine deve regnare, la calma e la concordia”.
Ma chi sono i Gilets Jaunes gentili? È molto difficile rispondere a questa domanda, percorrendo i media ufficiali. In questa prospettiva, secondo una logica di progressiva nullificazione, sarebbero ormai inesistenti. Salvo che una base fissa si è costituita su tutto il territorio: i picchetti ai ronds-points continuano, e si sente, ovunque, esprimersi, in un clima di lotte che viene man mano sgrassandosi (dicono i francesi, alludendo a quanto si era in maniera contingente accumulato), un programma assai coerente e tutt’altro che eteroclito. Vediamolo: “restaurazione dell’ISF (l’imposta sule grandi fortune), rivalutazione ulteriore dello SMIG (il salario minimo, oltre i 100 euro finalmente concessi da Macron), blocco del prezzo del carburante, aumento delle pensioni, limitazione delle imposte dirette e indirette, maggiore tassazione delle grandi imprese, divieto di delocalizzazione, sostegno al piccolo commercio, investimenti nei settori pubblici, un serio abbassamento di tutte le tasse e imposte sui generi di prima necessità”.Viste queste rivendicazioni, che vengono generalizzandosi, risulta assai importante chiedersi da dove vengano, chi sia il soggetto (in senso sociologico) che le propone. Ora, sembra che con sempre maggiore approssimazione, questo soggetto (nei ronds-points come nelle manifestazioni nelle grandi città) sia cosi composto: il 50% di salariati, il 20% di pensionati, il 10% di lavoratori indipendenti, il 5% di disoccupati… Donne e uomini in proporzioni uguali. Ne consegue, non so se logicamente, certo effettualmente, che il movimento dei Gilets Jaunes sia essenzialmente un movimento per la rivalorizzazione del lavoro. Un movimento di rivendicazione salariale (sul terreno sociale). Ecco dove viene, dal punto di vista del governo, “il pericolo di una deriva radicale”. È riapparizione della lotta di classe che terrorizza il potere.
Nella sua ultima allocuzione, Macron ha perfettamente percepito il proiettarsi di quest’ombra, di questo pericolo, sull’intero quadro delle sue politiche. Ed ha tentato di far credere che il programma di riforme, bloccato dal sollevamento dei Gilets Jaunes, continuando a realizzarsi, avrebbe fatto cadere le ragioni della protesta. Con ciò, egli ha mostrato ancora una volta che il potere non vuole comprendere che i Gilets Jaunes non sono un fenomeno congiunturale, ma l’espressione del rifiuto delle logiche neoliberali – rifiuto probabilmente portato contro di esse in un acuto momento di crisi. La rivolta dei Gilets Jaunes attacca infatti tutte le figure di regolazione neoliberali, imposte fin qui alle politiche di spesa dei governi europei. Lungi dall’essere una protesta congiunturale, la rivolta francese possiede forza e dimensioni politiche: è un attacco alle regole neoliberali a livello europeo, e dimostrazione che esse non portano ricchezza alla società attraverso un investimento produttivo che si basa sull’immiserimento della società stessa – semplicemente creano più miseria e fatica di vivere. Ed è curioso che proprio in questi giorni, diversamente da quel che sembra dire Macron, la Banca centrale europea abbia accennato al fatto di essere disponibile a riaprire il rubinetto dei finanziamenti. Più che Macron, saranno stati i Gilets Jaunes a determinarla?
Resta un’ultima questione se vogliamo definire i Gilets Jaunes non solo come “gentili” ma “forti”: in che cosa consiste il loro il loro punto di forza, la loro organizzazione? In che modo si è sviluppata in questo mese di lotte? Al momento, sono ancora un “contropotere” diffuso, fortemente insediati in tutto il paese, ed hanno fissato nuove forme di associazione e di espressione politica all’interno dei gruppi. Diventeranno un partito, come gli altri ai quali si sentono diametralmente opposti? Si esprimeranno attraverso i canali della rappresentanza politica come gli propongono i partiti di estrema destra e di estrema sinistra? Sono domande che ci poniamo da quando il movimento è cominciato, e oggi non sappiamo ancora rispondere. Ma il problema è stato posto, e non sono, io credo, gli imbrogli della “democrazia partecipativa”, né quelli di una “tecnopolitica” applicata al modello esistente di democrazia rappresentativa, che tireranno fuori una soluzione per questo problema. Almeno una cosa sembra che i movimenti abbiano appresa, ed è che tutti i tentativi costituzionali che cercano di costruire il “popolo” nell’unità sovrana di un meccanismo rappresentativo falliscono – davanti alla patente impossibilità di ridurre la molteplicità moltitudinaria a “uno”, a “popolo”. Questa operazione di astrazione è ormai considerata “non democratica”. Si tratta allora, di contro al modello di sovranità esistente, di sperimentare, di provare a istituire nuove figure di rappresentanza non-unitarie, non-sovrane, che si distendano sugli spazi della vita e della produzione sociale.
I Gilets Jaunes stanno sperimentando questa prospettiva. Per cominciare, come abbiamo visto, dicono no. Sono un contropotere. Ma continuando nella loro esperienza, pongono il problema di essere un altro potere. Non è solo, infatti, il programma che abbiamo visto, e che senza timore di essere smentiti, possiamo chiamare “di classe”, che comincia a definire i Gilets Jaunes come un altro potere. Lo è soprattutto la rottura delle lealtà costituzionali fin qui obbedite. Un programma di classe potrebbe in effetti essere messo in atto da un potere sovrano su un popolo obbediente: i Gilets Jaunes lo sanno, come lo sanno tutti coloro che hanno vissuto le tragedie del socialismo nel ventesimo secolo. Un altro potere nasce solo quando il suo esercizio sia recuperato dalle singolarità, e realizzato in forme istituzionali non-sovrane, aperte invece alle oscillazioni come all’intelligenza dell’insieme delle singolarità costituenti la moltitudine. Comunque finisca quest’impresa dei Gilets Jaunes, noi avremo assistito ad un primo esperimento di soviet da parte di un proletariato non solo industriale ma sociale.
Possiamo assumere questo risultato, confrontando il movimento dei Gilets Jaunes a quelli che dal 2011 sono esplosi nelle lotte contro il neoliberalismo (Occupy, 15M, e i movimenti subito repressi nel Nord-Africa e nel Medioriente). Il movimento francese è più esteso, più profondo e politicamente articolato. Il grido “Macron démission” implica un discorso che si svolge su un terreno sul quale la ricomposizione della classe lavoratrice a livello sociale, si è completamente sviluppato. Qui il lavoro è valorizzato sul terreno sociale. La precarietà non è una categoria parziale ma la qualità egemone della forza lavoro, qui il lavoro cognitivo ha investito i processi lavorativi riqualificandoli. È la completezza di questi processi, di questa ricomposizione, che è rivelata (a differenza di quanto è avvenuto negli altri movimenti dopo il 2011) dai Gilets Jaunes.
Non è difficile scommettere che a questa breve stagione seguirà un lungo periodo di repressione. È in questo periodo che chi vuol fare politica dovrà impegnarsi nel ricostruire le linee sulle quali il movimento dei Gilets Jaunes si è espresso.
Articolo apparso su EURONOMADE il 5 Gennaio