Un mondo in corso di mutazione, soprattutto l’Occidente al quale apparteniamo. Una frattura che corre lungo l’Atlantico, tra un’Europa sotto scadenza elettorale e l’America di Donald Trump che sfida il commercio internazionale; la difficile equazione tra lavoro e capitale a dieci anni dal crack Lehman Brothers; Mosca al bivio tra Washington e un’Asia sempre più cinese. E l’Italia, alla ricerca di una via tra la fine delle ideologie e nuovi paradigmi di sostenibilità non solo ambientale, ma politica, finanziaria e sociale.
Questa la situazione che fa da cornice alla presentazione avvenuta in Assolombarda del XXIII Rapporto sull’economia globale e l’Italia dal titolo “Il mondo cambia pelle?” a cura di Mario Deaglio – con i contributi di Chiara Agostini, Giorgio Arfaras, Francesco Beraldi, Gabriele Guggiola, Paolo Migliavacca, Giuseppe Russo e Giorgio Vernoni – edito da Guerini e Associati. Il Rapporto viene realizzato dal 1996 con cadenza annuale; in passato con Lazard e dal 2009 in collaborazione con UBI Banca ed analizza l’evoluzione dei mercati mondiali dal punto di vista degli sviluppi congiunturali, dei settori, delle imprese, delle regole, e la posizione dell’Italia nell’economia globale.
Dopo gli indirizzi di saluto di Carlo Bonomi, Presidente Assolombarda; di Letizia Moratti, Presidente Consiglio di Gestione UBI Banca e l’introduzione di Salvatore Carrubba, Presidente Centro Einaudi, Deaglio ha illustrato il Rapporto cui è seguita la discussione con Victor Massiah, Consigliere Delegato UBI Banca; Vincenzo Cremonini,Amministratore Delegato Gruppo Cremonini, Luigi Galimberti, Amministratore Delegato Sfera Società Agricola.
Moderatore Fabio Tamburini, Direttore Responsabile Il Sole 24 Ore
Il titolo stesso del Rapporto sta a significare un cambiamento di carattere generale che investe l’intero Occidente dove i parametri nei quali siamo cresciuti stanno saltando e dove è sempre più difficile prevedere cosa succederà. Se infatti negli ultimi anni la globalizzazione ha prodotto molto, dall’altra ha distribuito male i suoi risultati. La conseguenza e’ stata l’esplosione dei cosiddetti “pupulismi” a danno della politica tradizionale, “colpevole di non aver visto i problemi che stavano emergendo e di non aver reso sostenibile il modello di capitalismo che li determinava”. Si aggiungono fratture politiche, come quella tra America ed Europa con il venir meno dell’Unità atlantica o come quella dell’Inghilterra post-Brexit; fratture fisiche come quella emblematizzata dal crollo del Ponte di Genova; per finire, fratture sociali come le manifestazioni dei gilet gialli in Francia.
Le previsioni per il futuro non sono rosee: la crescita degli ultimi anni mostra segni di stanchezza. A mettere in guardia è l’andamento economico degli Stati Uniti, prima potenza mondiale, che vede crescere a dismisura il proprio debito parallelamente a un ristagno del PIL e a una crisi dei salari. Ma a fare paura è anche il rallentamento tedesco, partito due trimestri fa dal settore dell’auto, che oggi colpisce tutti i settori. Anche le cosiddette new industry non sembrano passarsela bene, basti considerare il calo di Google in Borsa.
C’è la prospettiva di una possibile crisi le cui cause sono da far risalire ad alcuni fattori globali emergenti, come lo scontro sul libero commercio, la tendenza a crescere dei tassi e dei rendimenti verso livelli storici, nonché la diffusione dei populismi che tendono a disincentivare la crescita e spingono a un consolidamento dello status quo.
Sono diminuite le disuguaglianze tra Paesi, ma aumentate quelle interne. La classe media tende oggi a spaccarsi con ricchi sempre più ricchi e poveri in aumento. Anche il fenomeno dell’invecchiamento demografico riguarda tutta l’Europa con una popolazione mediana che va dai 38 anni del 2002 ai 42 e mezzo del 2017. Da qui la minor propensione al rischio e una maggiore tendenza al consolidamento che toglie ai Paesi la forza di innovare.
La situazione dell’Italia all’interno del contesto globale non è anomala, anzi segue la tendenza al rallentamento generale. Dopo la Grande Recessione, nel 2015 si è tornati a tassi di crescita positivi. Stando al Rapporto ciò è dipeso da forti investimenti, da una bilancia commerciale in attivo e dalla ripresa dei consumi. “Siamo sopravvissuti alla crisi grazie alla resilienza delle famiglie (determinata, a sua volta, da un discreto ammontare di risparmio privato)”, ha spiegato il Professor Deaglio, “ma anche grazie agli aiuti della BCE, al controllo dei conti pubblici, alla reattività dell’industria al cambiamento e alle riforme che hanno favorito gli investimenti esteri. Permane tuttavia un gap importante Italia-Europa sugli investimenti in innovazione”.
A oggi settori come finanza, assicurazioni, informatica e agricoltura contribuiscono a formare il PIL e sono a buoni livelli, ma l’industria è ben lontana dal recuperare i livelli pre-crisi. Buone le performance dell’export che nel nostro Paese non ha perso terreno e può essere ritenuto l’unico elemento distintivo nell’economia globale. Eppure si è assistito a una riconfigurazione dei prodotti esportati: dalla tecnologia all’ambito artistico (moda, design ecc.). Ciò, a detta di Deaglio, rappresenta una potenziale fragilità per il futuro. Emergono tuttavia alcuni settori di nicchia che crescono grazie all’export di oggetti esclusivi, quali apparecchi medicali, apparecchiature sportive, macchine per la lavorazione industriale, spesso prodotti da aziende italiane acquisite da società estere che hanno investito.
Considerati questi fattori di rallentamento, non c’è un rischio di recessione immediato, quanto si ravvisano una serie di fattori che, se non corretti, potrebbero portare a una crisi di lungo periodo. Per esempio è manifesto un aumento allarmante della povertà assoluta e di quella relativa con un rischio povertà molto più alto rispetto alla media europea. L’Italia, in sintesi, è un paese malato che cammina ma non corre. Serve una visione di lungo periodo che manca alla totalità dell’orizzonte politico attuale. Su questa visione di lungo periodo urge aprire una discussione nazionale che ancora nessuno a oggi ha ancora avviato.
Occorrerà incentivare la spesa pubblica. Una forte contrazione dei consumi per via dell’incertezza potrebbe essere molto pericolosa. Il reddito di cittadinanza, per esempio, non contribuisce all’aumento della spesa come altri provvedimenti potrebbero fare. Sarebbe stato meglio, perché meno oneroso, ampliare il reddito di inclusione . Per quanto riguarda lo spread non si avranno grossi effetti negativi fino all’autunno rispetto a quelli che già ci sono. Anche il risparmio delle famiglie per il momento tiene, soprattutto nelle famiglie over 40. Quanto all’aumento dell’Iva al 2020, tutte le simulazioni dicono che non è possibile evitarlo.
Achille Colombo Clerici