Il dipinto in esame, raffigurante David che placa Saul con il suono dell’arpa, appartenente ad una collezione torinese, è stato in passato attribuito da parte della critica a Solimena; viceversa è opera certa del pennello del Beinaschi, piemontese di nascita (Fossano 1636 – Napoli 1688), uno dei protagonisti nella temperie artistica napoletana della seconda metà del secolo, che trascorre due lunghi soggiorni all’ombra del Vesuvio, intento soprattutto ad affrescare le cupole delle chiese dei più importanti ordini religiosi. Egli a Napoli riveste una certa importanza per la formazione di Francesco Solimena, che per suo tramite risale al neocorregismo di Lanfranco ed ai fondamenti della pittura classicistica del secolo.
Da alcuni studiosi è ritenuto modesto come pittore di cavalletto, ove pure dimostra di aver appreso la lezione di Mattia Preti, dei cui motivi più specificamente barocchi si appropria, per cui le sue tele sono abbastanza rare ed è perciò particolarmente importante questo dipinto di notevole qualità che viene ad accrescere il suo catalogoDei paragoni stilistici e cromatici particolarmente significativi si possono instaurare tra il dipinto in esame ed altre sue opere di sicura attribuzione, quali l’Allegoria della Fortezza della collezione Pellegrini di Cosenza, da me pubblicata nel 1998, in occasione della stesura della monografia sulla importante raccolta calabrese ed Il pagamento del tributo, transitato di recente in asta a Vienna. Sono opere sicuramente realizzate nella fase matura del Beinaschi relativa al secondo soggiorno napoletano, nel quale si avvale spesso della collaborazione di aiuti, quali Giovanni della Torre, Orazio Frezza e Giuseppe Fattorusso.
Fa sicuramente parte di un ciclo di tele raffiguranti episodi biblici, che dovettero ispirarsi a quelle realizzate per la chiesa di Santa Maria di Loreto(detta delle Grazie) dei padri Teatini, nella strada Toledo, ricordate dal De Dominici” in quanto di scurcio si bello che furono molto lodate dal nostro celebre Luca Giordano, il quale non saziavasi di mirare adattata in si picciol sito una figura al naturale con tanta proprietà; e quest’opera è dipinta con bellezza di colore operato con dolcezza”. Pur conservando in questo dipinto il timbro scuro(valutato negativamente dal De Dominici) vivacizzato attraverso l’inserimento di alcune figure ben definite nelle fisionomie, la composizione evidenzia una corretta definizione delle forme ed una equilibrata disciplina formale.
Sono opere che mettono in evidenza il tentativo di raggiungere in diversa maniera la levità di tocco del barocco, ottenuta in genere per mezzo della luce e del colore.
Al pittore piemontese spetta il merito di aver introdotto in area napoletana le soluzioni del Correggio, che precedono le aperture barocche viste alla luce delle più moderne soluzioni cromatiche lanfranchiane.
«I toni schiariti e i colori più caldi, la composizione aperta e mossa, le forme di respiro monumentale, la luce dorata che irrompe dal fondo unendo più intimamente cielo e terra» (Navarro) dimostrano in ogni caso gli sforzi di aggiornamento compiuti dal pittore.
Il suo ultimo lavoro è nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, ove è impegnato dal 1681 al 1686 nell’affrescare l’abside con una Madonna delle Grazie in gloria e nel transetto con Storie della vita di Maria.
Oramai è stanco e malato: il 28 settembre 1688 muore ed è sepolto nello stesso convento dei padri Gerolomitani.
La sua opera, nella quale risale vorticosamente fino al neocorreggismo del Lanfranco, avrà grande importanza nel panorama artistico napoletano di fine secolo e su di essa si forgerà in parte lo stesso Francesco Solimena.