Officina delle idee

GIOVANI, LAVORO,IL CUORE DELLA SINISTRA E DELLA RAPPRESENTANZA. L’OPINIONE DI VITO NOCERA.

Tre giorni fa tanti operai, giovani soprattutto, si sono riaffacciati in molte piazze d’Italia.

Forse e’ il segno di una crisi difficile specie nel settore dell’industria, dove la produzione si e’ ridotta in modo consistente ( nel settore dell’auto addirittura e’ andata giu’ del 17% rispetto a un anno fa).

Molti di loro non hanno la sinistra come riferimento, magari hanno votato i partiti oggi al governo pero’ manifestano lo stesso perché sentono che il loro lavoro e’ a rischio.

Soprattutto – credo – che stiano avvertendo che il proprio lavoro non ha valore dentro gli attuali rapporti sociali.

Non e’ storia recente. Sono molti anni che il lavoro non ha una centralita’ nell’organizzazione sociale contemporanea.

Ma i rapporti di lavoro subordinato e dipendente, perfino in qualche caso vero e proprio lavoro schiavizzato, sono estesi e producono nuove contraddizioni.

Le fabbriche che chiudono e che emigrano dove la manodopera costa di meno, quelle che lo hanno fatto da tempo lasciando deserti industriali e territori in preda a disagi e criminalita’ organizzata. I tanti nuovi lavori precari, a tempo e senza tutele.

Ci si mettono perfino le innovazioni tecnologiche che potrebbero alleviare fatica e alienazione e invece finiscono per produrre nuova disoccupazione.

Sta qui il cuore della crisi della sinistra e della rappresentanza. Nel fatto che chi intraprende non ha piu’ l’obbligo – qui o su scala transnazionale – di negoziare con gli operai per estrarre dal loro lavoro quello che un tempo, in linguaggio marxiano, si chiamava plusvalore.

Gli operai sono tornati ma ancora non si vivono come una “classe” e poi non hanno ancora alleati.

Che in un clima così si aggrappino alle due forze che compongono il governo e’ del tutto comprensibile. Quelli, lo capisce anche un bambino , non hanno una idea di Paese, un progetto chiaro, pero’ almeno qualche speranza la danno.

Si comportano come dei popolani, non hanno studiato granche’, stanno sempre a martellare nei social, ora anche su stampa e tv.

E poi dicono che vogliono riportare il lavoro in Italia, impedire che quello che’ c’e’ vada via e che vogliono fare il braccio di ferro in Europa per garantire al paese politiche espansive.

Non hanno inventato niente, così piu’ o meno fa Trump in Usa. E poi con l’anticipo alla pensione per qualcuno e con il , per quanto pasticciato, reddito di cittadinanza non stanno forse aiutando una quota di fragilita’ sociale che ne ha bisogno?

Come si capisce non puoi dire alle persone siccome io sono la sinistra, il Pd o che cos’altro, e’ da noi che ti devi fare rappresentare.

Un approccio così serve a meno di zero. Si e’ rotta nel profondo una connessione della classe operaia di un tempo con se stessa e con le proprie rappresentanze politiche.

Da noi come in quasi tutto il mondo occidentale.

Magari nonostante questa frattura qualche mano elettorale congiunturalmente la vinci ma alla lunga ti manca da sotto i piedi la terra.
Ho letto un romanzo ambientato nella Gran Bretagna di oggi, quando al protagonista che lo porta in macchina il vecchio genitore – che era stato caporeparto alla British Leyland nello stabilimento di Longbridge a Birmingham – chiede di portarlo li dove ha trascorso la sua vita, l’uomo prima fa per dirgli qualcosa poi ci ripensa e continua la marcia. Arrivato in un grande spazio dove c’e’ un immenso centro commerciale si ferma. Il vecchio irritato dice ma ti avevo detto di portarmi a Longbridge!

Il vecchio ex caporeparto neppure piu’ riconosceva il suo antico luogo di lavoro ormai trasformato.

Un episodio che ci spiega piu’ di tante parole questo tempo di sconfitta del movimento operaio ( quel soggetto politico che fu protagonista di un intero ciclo della storia ).

La vicenda della nostra Whirpool in fondo ci parla di questo. Il settore che piu’ evoca il boom economico ( la prima smalteria acquistata a Napoli dai lombardi risale al 1949) poi via via lo stabilimento a via Argine, la crescita di occupazione, i nuovi modelli automatici.

E’ una storia industriale che e’ anche una storia politica di rapporti di forza sociali, che non a caso oggi arriva al dunque priva di protezioni e soluzioni.

Forse pero’ le speranze suscitate dai governanti di oggi sono un po fumo.
Per carita’ se vi fossero dei risultati dovremmo essere pronti a darne atto. Con serieta’.

Ma dubito che sia possibile proteggere il lavoro trattandoli da sudditi, senza ridargli potere.
E quale meccanismo impedisce all’impresa di emigrare o la costringe a tornare se non un riequilibrio del valore di scambio su scala transnazionale che certo il nazionalismo non potra’ perseguire?

Così come con l’Europa. Diciamo le cose come stanno. Questi – soprattutto la lega – vogliono tornare a stampare moneta. Ne avrebbero forse un sollievo le piccole e medie aziende del Nord col ritorno alle svalutazioni competitive ma a quale prezzo per i salari e le pensioni e per il loro potere d’acquisto dentro nuove ondate di aumento dei prezzi?

Sembra una linea disperata , avventurosa, che di certo spacca e divide il paese tra chi ne beneficia e chi ne paga il prezzo. Ma e’ una linea e se vuoi contrastarla devi avere capacità di dare risposte diverse, alternative , a questi nodi pero’.

Rimettere su un blocco di forze sociali progressiste e una loro rappresentanza politica e’ un compito che non ha un prima e un dopo. Le due cose sono coessenziali l’una all’altra.

E se a Longbridge non c’e’ piu’ la Leiland in quel gigantesco centro commerciale c’e’ una giovane generazione sottopagata e precaria che lo porta avanti. E i tanti lavori dispersi in tanti luoghi in Italia.

Forse e’ arrivato il momento di una nuova grande inchiesta sul campo del lavoro contemporaneo unitamente alla elaborazione di proposte capaci di misurarsi con i grandi nodi sociali di oggi.

Queste due cose insieme possono forse riaprire la contesa e ridare al lavoro un valore oltre che sociale anche politico.

Che questo dice la nostra Costituzione quando recita che la nostra Repubblica e’ fondata sul Lavoro. Per anni si e’ interpretato quel ” sul lavoro” come sul lavorare. Anche questo certo. Ma i costituenti vollero fondare la Repubblica sul lavoro come soggetto politico organizzato.

E’ molto difficile nel quadro di oggi ma passa da lì la strada per conservare l’assetto democratico del paese , evitare che la lotta spietata tra i diversi poteri ( non regolati dal lavoro organizzato ) demolisca l’Italia, che possa riprendere il sogno europeo ricontrattandone seriamente fisionomia istituzionale e linea economica.

Insomma vasto e arduo programma me ne rendo conto. Ma meno di cio’ equivale oggi al nulla.

Potrebbe piacerti...