«Il medico deve avere un linguaggio teso a coinvolgere il paziente, ma non a convincerlo. Coinvolgerlo in quel processo di cura che è fondamentale». Così la presidente dell’Ordine provinciale dei medici-chirurghi e degli odontoiatri di Caserta Maria Erminia Bottiglieri intervenendo a Roma alla seconda tappa del percorso degli Stati Generali promosso dalla FNOMCeO (Federazione degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri). Una due giorni molto ricca di interventi,che si sono sviluppati sul tema generale «Dalla crisi al nuovo paradigma della medicina». Costituiti anche dei gruppi di studio che hanno visto la dottoressa Bottiglieri, insieme alla presidente pisana Teresa Galoppi,animatrice del gruppo di lavoro sul tema “dialogo e linguaggio”.
Queste le parole di Maria Erminia Bottiglieri: «È difficile parlare separatamente di dialogo e linguaggio da un lato e relazione medico-paziente dall’altro. Non si può pensare a una revisione della relazione senza riflettere contestualmente su dialogo e linguaggio. Il cambiamento del rapporto medico-paziente è legato, infatti, anche a un cambiamento del dialogo e del linguaggio utilizzati da entrambe le parti. Il medico deve utilizzare un linguaggio che deve essere comprensibile, ma che si adatti alle rinnovate “esigenze” e “conoscenze” del paziente che, dal suo canto, viene da noi già “preparato” a porre domande sulla sua condizione. Il medico deve anche considerare una società sempre più globalizzata e multiculturale. Da valutare, inoltre, il processo di empowerment in sanità che riguarda sia i cittadini che i pazienti che i professionisti ed è necessario per migliorare la sanità stessa che così diviene più etica, di livello più alto, più efficace, efficiente e sostenibile e al passo con i tempi. In tale processo, il dialogo, il linguaggio e la relazione occupano un ruolo fondamentale».
La presidente Bottiglieri quindi conclude: «Il medico non dovrebbe avere la capacità di persuadere o convincere, ma di esprimere liberamente il suo ruolo educativo, coinvolgendo pienamente il malato. Se vuole ottenerla sua adesione alla terapia, al processo di cura, lo deve interessare. E questo certamente non solo enunciando le evidenze scientifiche a favore delle ipotesi da lui formulate, ma dimostrandosi attendibile. Deve, inoltre, “entrare” nel contesto familiare e sociale del malato per far capire che s’interessa di lui e non della malattia: in questo modo si rende credibile ed empatico. Empatia vuol dire soffrire insieme, mettersi nei panni dell’altro, e “prendersi cura” in maniera ideale».
Infine, il gruppo di lavoro ha inteso recepire quanto recita il comma 10 dell’articolo 1 della Legge 219/2017, ovvero “La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative”, proponendo sia l’implementazione e la standardizzazione delle humaties già presenti in tutti gli atenei italiani ma in modo disomogeneo, che corsi residenziali o a distanza che abbiano come obiettivo la comunicazione