Già si contano le truppe, nel Pd. La linea ufficiale del segretario Nicola Zingaretti resta quella del voto e anche tra i renziani la proposta di Matteo Renzi per un governo di transizione con il M5s viene liquidata da qualcuno come “poco più che fantascienza”. Ma dal segretario in giù, tutti si appellano alla guida di Sergio Mattarella. Il che vuol dire, traducono, non chiudere la via a una soluzione alternativa alla corsa al voto in autunno. Su questo gli organismi dirigenti del Pd potrebbero essere chiamati presto a decidere, su questo partono già le conte e i riposizionamenti di corrente. L’idea di Renzi di un governo di transizione per andare al voto nel 2020, per il quale ci sarebbero stati contatti tra renziani ed esponenti di FI, non trova sostegno netto fuori dall’ala renziana e turbo-renziana, mentre raccoglie anche qualche malumore tra i militanti più affezionati al “#senzadime”. Ma se si guarda allo schema più ampio di un tentativo di costruire su un programma definito una maggioranza che freni la corsa delle destre e faccia alcune cose che servono al Paese, a partire da una legge di bilancio salva-conti, i consensi sembrano ampi nel partito. C’è l’apertura di Dario Franceschini, di Graziano Delrio, il sì di Matteo Orfini (purché si concordi un programma che includa anche temi come la cancellazione dei decreti sicurezza di Salvini) ma anche di zingarettiani come Roberto Morassut, che dice no alla soluzione “asfittica e mortale” per il Pd di un “governo istituzionale”, ma apre a un “governo istituzionale vero di risanamento e riforme non a tempo”.
E’ una formula cui potrebbe aprire anche Zingaretti, che dice invece no a un governo di scopo. E, “non a tempo”, piace anche ai franceschiniani. Il segretario sembra già guardare alle urne quando chiama alla “battaglia” un mondo ampio che va dai sindaci di centrosinistra ad altri partiti e iniziative civiche: si può trovare insieme il candidato premier giusto – è il messaggio, per battere Salvini. Ma ora il discorso si è spostato su un possibile governo istituzionale con M5s. E così, mentre Walter Veltroni mette in guardia dal rischio Weimer, il Pd si spacca. “Ci aspettano prove difficili. Quando il gioco si fa duro i duri smettono di litigare”, è l’invito pacificatore di Paolo Gentiloni. Ma è già partita la conta. Ettore Rosato lancia l’idea di una discussione e un voto dei gruppi parlamentari sulla linea.
Lì la maggioranza è renziana: secondo alcuni calcoli sarebbero renziani tra i 35 e i 40 senatori su 63 e tra i 65 e i 70 deputati. Gli scenari politici posso rimescolare le carte, ma il rischio di non rielezione rema in questo caso a favore di Renzi. Ma non è quella, ribattono i parlamentari vicini a Zingaretti, la sede delle decisioni: si decide in una direzione, che dovrebbe comunque essere convocata a breve, magari in concomitanza con le consultazioni. “E’ fuori dal mondo che decidano i gruppi – osserva un deputato – perché devono essere prese scelte politiche fondamentali e decide la direzione”. In direzione Zingaretti, che ha vinto il congresso, ha la maggioranza.