Tra “le difficoltà” delle carceri c’è “in particolare” il problema del “sovraffollamento degli istituti penitenziari, che accresce in tutti un senso di debolezza se non di sfinimento”. “E’ un problema grave”, ha detto il Papa nell’udienza con la Polizia penitenziaria, i cappellani e i volontari nelle carceri.. “Quando le forze diminuiscono la sfiducia aumenta. È essenziale garantire condizioni di vita decorose, altrimenti le carceri diventano polveriere di rabbia, anziché luoghi di ricupero”, ha detto il pontefice. Bergoglio ha poi ribadito il suo appello a rivedere la pena dell’ergastolo: “L’ergastolo non è la soluzione dei problemi, ma un problema da risolvere. Perché se si chiude in cella la speranza, non c’è futuro per la società. Mai privare del diritto di ricominciare”: è l’appello lanciato da Papa Francesco. Sta “ad ogni società” alimentare “la fiammella della speranza”, “fare in modo che la pena non comprometta il diritto alla speranza, che siano garantite prospettive di riconciliazione e di reinserimento”.E nel suo discorrere, sotto-sotto, mostrava di custodire un segreto: che lavorare lì dentro sia un’occasione gigante per ripassare la lezione di Troia. A breve sono i vincitori a scrivere la storia, alla lunga la storia si arricchisce maggiormente con l’esperienza dei vinti: «Non lasciatevi mai imprigionare nella cella buia di un cuore senza speranza, non cedete alla disperazione» ha aggiunto rivolgendosi alle persone detenute. Che sono gli sconfitti, i “mostri”, quelle storie abbandonate in quei parcheggi di cemento che sono le patrie galere. Storie che diventano terre di nessuno.
C’è una parola per molti lontanissima dalla parola carcere. Ed è la parola speranza. Eppure papa Francesco la pronuncia, la spiega, la indica con convinzione e forza. Assieme ad altre parole non meno apparentemente lontane, come dignità, compassione, perdono, recupero, ascolto, coraggio, pace, fiducia, futuro, riconciliazione, reinserimento… Lo fa incontrando il mondo carcerario, chi “custodisce” («vi ringrazio di non essere solo vigilanti, ma soprattutto custodi di persone», dice agli agenti penitenziari), chi ascolta e si sporca le mani come i cappellani, e chi vive in cella («siete nel cuore di Dio, siete preziosi ai suoi occhi»). Ancora una volta dimostra grande attenzione per questo mondo ai margini.