«Non è sempre punibile chi aiuta al suicidio». I giudici della Corte Costituzionale hanno deliberato questo sul caso di Marco Cappato, rappresentante dell’associazione Luca Coscioni, sotto processo per aver accompagnato Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, quarantenne milanese tetraplegico e cieco dopo un incidente, a morire in Svizzera. Così dice la sentenza. «È non punibile in determinate condizioni chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». La Corte costituzionale si è riunita in camera di consiglio per esaminare le questioni sollevate dalla Corte d’assise di Milano sull’articolo 580 del Codice penale riguardanti la punibilità dell’aiuto al suicidio di chi sia già determinato a togliersi la vita. Dettando però condizioni precise. La Corte, dopo che nel 2018 aveva rinviato la decisione chiedendo un intervento del Parlamento con una nuova legge, ha ritenuto non punibile (ai sensi dell’articolo 580 del codice penale), ma solo a patto che siano rispettate determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale o affetto da una patologia irreversibile, che causi di sofferenze fisiche e psicologiche ritenute intollerabili. Il paziente, però, deve essere pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Sistema sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente. La Corte sottolinea che l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone particolarmente vulnerabili: concetto già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018. Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni equivalenti a quelle indicate.
«Da oggi tutti più liberi, anche quelli che non sono d’accordo» ha detto Cappato. «Fabo ha vinto la sua battaglia per la libertà» ha detto la compagna Valeria. «Adesso è da qualche parte che ride, tutto fiero per il casino che ha combinato, per quello che è riuscito a smuovere in un Paese statico. Contento per questa legge che ora è cambiata grazie a lui. Sono sicura che è fiero e felice, altri non dovranno passare il suo inferno per avere il diritto di morire. Per merito suo saranno finalmente liberi di scegliere».
A seguito della delibera della Consulta, ora sarà la normativa a cambiare. Ci sono in Parlamento disegni di legge sul tema e c’è già anche una forte opposizione in particolare dal mondo cattolico. Non ci sarà una depenalizzazione totale dell’aiuto al suicidio, perché la Corte, che ha deliberato sulla posizione di chi aiuta al suicidio e non su altro, ha indicato confini nella situazione del paziente, terminale con una patologia irreversibile, e nella sua possibilità di prendere decisioni coscienti. La distinzione fra suicidio assistito ed eutanasia è netta. Nel primo è il paziente a compiere l’atto finale, nell’altro è un’altra persona a somministrare farmaci su libera richiesta del paziente. L’eutanasia in Italia è vietata. L’aiuto al suicidio potrebbe entrare nella normativa italiana. In Europa è legale in Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo. Guardando ai casi noti in Italia. Avrebbe potuto certamente chiedere il suicidio assistito Piergiorgio Welby, che era cosciente. Diverso il caso di Eluana Englaro, che era in stato vegetativo.