Come ben sanno da tempo gli esperti e gli operatori del settore, l’olivicoltura italiana è alle prese con una crisi ampia e profonda. Nuove patologie, il cambiamento climatico, il mercato nazionale e internazionale sempre più difficile e complicato, l’introduzione delle innovazioni tecniche ancora troppo a rilento nelle aziende, forte alternanza produttiva, sono solo alcuni dei fattori che impediscono il rilancio del comparto.
Tutto ciò rende insostenibile e precaria la situazione, mentre si diffondono rabbia e proteste tra i produttori agricoli un po’ in tutte le regioni; viene dichiarato lo stato di crisi del settore nel Mezzogiorno, vi è la richiesta di riattivazione del Tavolo ministeriale ed il varo di altre misure straordinarie. Tutto ciò sta generando sfiducia e disorientamento, anche per l’aumento continuo dei costi di produzione giunti a livelli insostenibili. E la Campania non fa eccezione alla pesante congiuntura ormai consolidatasi da anni. Dopo la disastrosa annata 2018 (6,7 mila tonnellate), quest’anno la produzione nella regione è risalita ad oltre 10 mila t, ma il prezzo stenta a decollare e molto prodotto è ancora invenduto.
La necessità per la filiera di varare iniziative di maggiore impatto sui mercati per affermare il valore dell’olio extravergine di oliva prodotto in Campania, ha convinto gli operatori, sia gli olivicoltori che i trasformatori e i confezionatori, a rilanciare il progetto, in stallo da tempo, di dotare il settore del marchio comunitario di Indicazione Geografica Protetta (IGP), alla pari di quanto già fatto in questi anni nelle altre regioni italiane ove l’olivicoltura è maggiormente rappresentativa.
Infatti, alle 3 regioni cui fu concessa la registrazione del marchio all’indomani del primo Regolamento europeo (n. 2081/92), e cioè la Toscana, l’Umbria, il Molise e la Sardegna, si sono successivamente affiancate anche la Sicilia, la Calabria e le Marche, mentre per la Puglia, la Basilicata (Olio Lucano) e il Lazio (Olio Roma), l’istanza di riconoscimento è all’attenzione della Commissione europea. Anche il Veneto vanta la DOP regionale (con menzioni geografiche anche delle aree produttive, come fu concesso all’Umbria in sede di prima applicazione del regolamento) ma il suo caso appare un’eccezione a livello europeo, dimostrando, se c’è bisogno di farlo, che le istruttorie dei servizi tecnici della Commissione a Bruxelles non brillano certo per equità e coerenza circa le decisioni sulle istanze presentate (emblematico l’esempio dell’Albicocca vesuviana, che nel 2009 fu considerata denominazione senza reputazione storica e commerciale, il che è quanto dire).
Praticamente tutte le aree produttive del Centro-sud hanno puntato, e in molti casi con indiscutibile successo commerciale, al riconoscimento dell’IGP per i propri oli extravergine di oliva con il nome della propria regione, con l’obiettivo cioè di voler dare l’opportunità agli oli territoriali e quindi ai produttori, di avere a disposizione, per le attività di marketing e di promozione, marchi di tutela ampi, con denominazioni geografiche note (cosa che con le dop non sempre è avvenuto), anche per incoraggiare operazioni di aggregazione attraverso l’utilizzo di marchi ombrello che diano maggiore visibilità e distintività al prodotto, oltre che di poter disporre di una massa critica di prodotto a marchio, da destinare soprattutto al mercato estero.
Anche in Campania si è ormai consapevoli che le grandi sfide sui mercati si vincono solo attraverso azioni intelligenti e di ampio respiro come l’IGP regionale, senza nulla togliere alle produzioni territoriali di eccellenza già tutelate da marchi DOP (in Campania sono 5), che generalmente hanno canali di vendita diversi e specifici.
Il progetto, promosso dalle organizzazioni professionali agricole, da industrie di trasformazione e imbottigliamento, dall’Aprol e da operatori singoli, punta in pratica alla registrazione, ai sensi del Regolamento UE n. 1151/2012, della denominazione IGP “Campania”, per gli oli extravergini di oliva prodotti nella regione, provenienti da olive raccolte in Campania e appartenenti al ricco germoplasma autoctono locale (18 varietà nel disciplinare), mentre l’olio, cui è riservato il marchio di tutela, dovrà dimostrare di possedere caratteristiche di elevata qualità e specificità.
Finalmente, possiamo dire, riparte un progetto che mette insieme tutte le figure di operatori del comparto, per conseguire un obiettivo strategico e per affrontare e competere sui grandi mercati, nazionali ed internazionali. La proposta di IGP deve essere vista, anche da chi sui territori esprime riserve, come strumento aggiuntivo ed inclusivo a disposizione dell’intera filiera e come un’opportunità in più per competere sul complesso mercato internazionale dell’olio di oliva.
Il brand “Campania” potrà agevolare anche la promozione delle DOP locali, attraverso processi di accompagnamento funzionali alla crescente domanda di prodotto tipico di eccellenza, creando cioè sinergie e complementarietà di azione e di obiettivi.
La Regione, attraverso l’on. Nicola Caputo, Consigliere delegato per l’agricoltura, ha assicurato il pieno sostegno all’iniziativa, anche presso le competenti autorità nazionali ed europee, perchè l’IGP può diventare il primo importante tassello per costruire finalmente una politica di filiera del settore dell’olio di oliva in Campania. Solo mettendo in campo scelte strategiche aggreganti e di sistema, infatti, si potrà tornare ad essere competitivi sui mercati in un momento difficile per l’agroalimentare tipico e di qualità.
Alle minacce incombenti sul settore si risponde, cioè, con scelte forti e concrete, come il marchio IGP, ma anche con un Distretto di Qualità dell’Olio e con il nuovo PSR 2021-27. Perchè le potenzialità commerciali del comparto rimangono enormi e tocca alla filiera e alle istituzioni crederci e utilizzare tutti i mezzi e le opportunità a disposizione.
L’istanza dell’IGP sarà presentata al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e alla Regione entro la metà del prossimo mese di gennaio.