Il Parlamento di Ankara, convocato in seduta straordinaria, ha approvato la mozione con 325 voti a favore e 184 contrari. Il testo è stato presentato lunedì dall’AKP, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, fondato dall’attuale presidente, Recep Tayyip Erdogan e che guida il Paese dal 2002. Con questa votazione, la Turchia approva l’invio di truppe in Libia e, in pratica, lancia un ultimatum a tutta la comunità internazionale, con un particolare di non poco conto, in realtà non è nota la data di invio delle truppe. Il tutto poterebbe far pensare che la mossa di Ankara sia un avvertimento alla comunità internazionale, ma ciò nonostante, sembra che ci sia ancora margine di manovra. Tutto dipenderà dai risultati che il presidente turco riuscirà a portare casa in termini di presenza sul territorio, contratti commerciali, sfruttamento delle risorse petrolifere e ricostruzione del Paese. Lo stesso vicepresidente turco, Fuat Oktay, giorni fa, aveva detto che la Turchia non avrebbe inviato truppe, nel caso il generale Hatfar, l’uomo forte della Cirenaica avesse interrotto l’avanzata verso Tripoli. A sentire gli esperti, difficilmente la Turchia deciderà di mobilitare contingenti armati nel breve termine, preferendo fornire consiglieri e materiale bellico. A Bengasi, non sembrano disposti a dare seguito alle richieste della Mezzaluna. Il quotidiano Al-Arabiya, ha riportato alcune dichiarazioni di Khaled al-Mahjoub, ufficiale dell’esercito di Haftar, secondo il quale «sono pronte misure militari di precauzione per un eventuale scontro con i turchi». La condanna da parte della comunità internazionale è univoca. Tant’è che a fare il primo passo è stato l’Egitto. Il Cairo ha parlato di «rischio per la stabilità della regione mediterranea», con il presidente al-Sisi che ha convocato il consiglio di sicurezza nazionale per una «pronta risposta». La Lega Araba ha «condannato con fermezza le decisioni di Ankara ribadendo il proprio sostegno alla soluzione politica. Anche Bruxelles ha ripetuto come «non esista soluzione militare al conflitto libico». Per l’Italia, il viceministro agli Esteri, Marina Sereni, ha evidenziato l’importanza dell’iniziativa diplomatica del prossimo 7 gennaio, nata su iniziativa di Roma e che vedrà impegnato l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, insieme con il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e i suoi omologhi europei di Francia, Gran Bretagna e Germania. Non sono apparse tuttavia concilianti le prime reazioni delle forze di Haftar che si sono dichiarate «pronte a combattere contro i turchi». E hanno intanto annunciato di avere abbattuto un altro drone turco vicino a Tripoli. Un’eventuale coinvolgimento militare in Libia, non sarebbe una passeggiata per la Turchia, che dopo quello della Siria, potrebbe ritrovarsi in un nuovo pantano. Oltre alle difficoltà legate all’invio di truppe in un paese separato dal mare, uno spiegamento in Libia sarebbe accompagnato anche da un possibile rischio di incidenti con la Russia. Anche se Mosca nega, l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé e il presidente Erdogan affermano che mercenari russi sono impegnati a fianco delle forze di Haftar.La sessione è stata convocata dal presidente del Parlamento turco Mustafa Sentop, dopo la mozione presentata dall’ufficio della presidenza turca e sostenuta dal partito di Erdogan. Nella mozione si parla di una spedizione militare in Libia della durata di un anno, finalizzata anche a proteggere gli interessi turchi nel Paese africano. Si resta in attesa di eventuali sviluppi di carattere internazionale.
A cura di Raffaele Fattopace