Intraprendendo il percorso della Brexit il Regno Unito ha deciso di uscire dal gruppo e l’addio all’Europa potrebbe avere un impatto anche sui giovani artisti nati e cresciuti sotto la corona.
Patria di calciatori fisici, trend e musicisti, l’isola a Nord della Francia è da sempre il principale motore (fu) europeo per quanto riguarda il rock e il valore della sua scena di musica dal vivo – riporta il NME – lo scorso anno ha fatto registrare incassi record per 1.1 miliardi di sterline, il 10% in più rispetto al 2017.
L’attività dal vivo delle band britanniche medio-piccole oltre Manica, però, potrebbe subire un duro colpo dopo la scelta di abbracciare la Brexit e lasciare formalmente l’Europa.
Secondo i più, infatti, gli artisti che non rientrano nel giro delle star potrebbero essere fortemente colpiti da spese mai dovute affrontare prima e dovute a documenti, permessi, visti, tassazioni extra per il trasporto degli strumenti e del merchandising al di là del Canale rendendo verosimilmente impraticabili i tour sulla terraferma di molte band.
Musicians Union, il sindacato dei musicisti britannici, ha lanciato una petizione già firmata da decina di migliaia di persone per cercare di ottenere una sorta di ‘passaporto’ speciale che possa facilitare le attività degli artisti impegnati a viaggiare e ad organizzare tour all’estero in maniera indipendente. La questione si porrebbe tanto per i musicisti rock quanto per tutti i tipi di artisti che hanno bisogno di girare l’Europa come, ad esempio, i membri delle orchestre e delle produzioni teatrali.
Stando alle richieste fatte dalla Musicians Union il “Musicians’Passport” dovrebbe rispettare una serie di indicazioni:
- Durare un minimo di due anni
- Essere economico o gratuito
- Consentire la copertura di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea
- Escludere la necessità di altri permessi aggiuntivi
- Coprire gli artisti ma anche tecnici, crew e tutti i soggetti indispensabili per la riuscita del tour
Qualche mese fa Michael Dugher, direttore esecutivo di UK Music – organizzazione che rappresenta gli interessi di tutta l’industria musicale britannica – espresse al Guardian le proprie perplessità in materia di Brexit: “Le superstar che incassano milioni e organizzano i loro tour con mesi o anni di anticipo sono sostanzialmente l’eccezione. La gran parte degli artisti lavora con margini stretti e la prospettiva di costi aggiuntivi e di vincoli burocratici ucciderebbe la loro capacità di andare in tour, sviluppare il loro talento e la loro fanbase”.
D’accordo anche John Giddings, promoter e responsabile dello storico Isle Of Wight Festival che in un’intervista con NME fa eco: “Va bene se sei un artista grosso e puoi permetterti di coprire i costi, ma se sei il tipico artista emergente devi tirare la cinghia. Se andare in tour in Europa costerà ancora di più di prima o ci sarà bisogno di prendersi ulteriori giorni off, allora non sarà finanziariamente sostenibile”.
La sensibilità di Boris Johnson e amici sulla materia, secondo Giddings, non è qualcosa su cui fare affidamento: “Contare sul Governo per qualsiasi cosa sarebbe la più grande perdita di tempo possibile. La Brexit provocherà seri danni ai tour europei. Se devi fare import ed export di tutte le attrezzature in ogni Paese avrai bisogno di più tempo, di più giorni di viaggio. Ogni giorno in più porta con sé spese generali per staff, hotel e qualsiasi altra cosa andando ad accrescere il costo complessivo dell’operazione”.
Proprio contro gli artisti più importanti punta il dito Mark Davyd, CEO del UK Music Venue Trust che esprime la sua frustrazione sulla mancanza di dialogo con il Governo e sullo scarso peso degli artisti minori oscurati dalle dichiarazioni di quelli più famosi:”Il problema è che ti trovi Roger Daltrey che in TV dice che dopo la Brexit andrà tutto bene perché suonava in Europa negli anni ’60. Poi c’è James Blunt che dice di non essere preoccupato e che la Brexit non sarà un problema per lui. Ed ha ragione! Con la quantità di soldi che guadagna con i tour non se ne accorgerà nemmeno. Si trasformerà praticamente in una tassa sui musicisti giovani ed emergenti, non andrà colpire i Roger Daltrey o i James Blunt, ci sarà qualcuno seduto in un ufficio ad occuparsi di tutto per loro”.
Certo, molti potrebbero contestare che lo stesso problema toccherà tutti i tipi di lavoratori, ma se l’impatto della Brexit sull’ industria della musica dal vivo sarà effettivamente come da teorie, inutile dirlo, ad essere colpiti non saranno solo i musicisti d’Albione ma tutti i fan in giro per l’Europa che con sempre maggiore difficoltà potranno trovarsi sotto il palco dei loro beniamini.