“Il timore che vedo tra gli imprenditori, clienti diretti o indiretti con cui abbiamo contatti tramite i nostri professional partner, è di non riuscire a gestire le criticità legate alla mancanza di liquidità e di dover svendere l’azienda per salvare il patrimonio familiare”. Lo dice in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia Giuseppe Arleo, commercialista e fondatore dello Studio Arleo, realtà specializzata nella consulenza alle pmi nella partecipazione a bandi europei, nazionali e regionali, attiva come service anche per alcuni tra i principali studi di commercialisti italiani.
“Nel passato recente – spiega Arleo – tanti imprenditori hanno impegnato beni di famiglia, oltre che risorse finanziarie personali, per salvaguardare le proprie imprese. La devastante crisi economica originata dal coronavirus li spinge a vendere le pmi per non dover rinunciare alle loro case. La situazione è drammatica. Gli studi più recenti indicano a rischio fallimento per mancanza di liquidità le aziende con rating intermedio, tra B e BBB. Si tratta del 65% delle pmi italiane”.
“Tanti imprenditori – fa notare – che hanno ricevuto negli anni proposte di fondi o competitor stranieri interessati a conquistare quote di mercato, oggi rischiano di cedere. Si tratta di pmi che operano spesso in settori ritenuti strategici dai grandi investitori internazionali. Le motivazioni che spingono alle scalate sono svariate: acquisizione di quote di mercato, brevetti e know how, speculazione finanziaria”.
“Il sistema Italia – osserva Giuseppe Arleo – rischia un ulteriore declino in termini di impatto occupazionale, svuotamento tecnologico, ecc. Il coronavirus è l’effetto choc che fa traboccare un vaso reso già quasi colmo da problemi finanziari, fisco opprimente, burocrazia e tempi intollerabili della giustizia civile. In passato si è cercato con la golden share di tutelare settori dell’economia ritenuti strategici ponendo le grandi acquisizioni al vaglio, ed all’approvazione, dell’esecutivo”.
“Ma vi sono – precisa – comparti fondamentali, basati su tantissime piccole aziende, che continuano a non avere adeguata tutela anche in presenza di concorrenza sleale, dall’alimentare alle filiere del made in Italy, in generale”.
“Le misure corpose – sostiene – per il rilancio economico del Paese non possono prescindere da questo obiettivo, se non si vuole depauperare il nostro tessuto produttivo, ormai preda di cacciatori sempre più aggressivi”.