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Coronavirus, per le donne vittime di violenza la casa non è un posto sicuro

Per tante donne, la casa non è un rifugio sicuro: quelle che sono vittime di violenza, in questi giorni di lockdown stanno vivendo un drastico peggioramento della situazione. I centri antiviolenza hanno sospeso le accoglienze (tranne che per i casi più gravi) e, per continuare a dare supporto alle donne in difficoltà, spesso hanno attivato nuove helpline.

Lo fatto anche WeWorld, un’organizzazione che da 50 anni si occupa di garantire i diritti di donne, bambini e bambine in 29 Paesi, compresa l’Italia, e che ha lanciato un nuovo numero di assistenza telefonica: 800.13.17. Sarà attivo tutti i giorni, con reperibilità nelle fasce orarie di chiusura: da lunedì a venerdì dalle 9 alle 18 e sabato mattina dalle 9 alle 13.

«Il coronavirus sta mettendo alla prova molte famiglie. La convivenza forzata con bambini, mariti e spesso anziani da accudire, sta aumentando in maniera esponenziale il carico familiare, che come sappiamo ancora oggi nella maggior parte delle famiglie del nostro Paese ricade quasi esclusivamente sulla componente femminile della coppia», ha spiegato Marco Chiesara, presidente di WeWorld.

«Se questa è la situazione nella normalità, le donne in situazioni problematiche o vittime di violenza in ambito domestico, in questi giorni stanno vedendo un drastico peggioramento della propria situazione. Per le donne vittime di violenza, restare a casa significa infatti dividere 24 ore su 24 gli spazi familiari con il proprio maltrattante, essere isolate da tutti e vedere il proprio spazio personale assottigliarsi di ora in ora». Ne abbiamo parlato con Elena Caneva, coordinatrice del centro studi di WeWorld.

Avete notato, in questi giorni, un’acutizzazione della violenza?
«Sì, e anche delle difficoltà psicologiche e del sovraccarico domestico. Spesso le donne, in questa fase di lockdown, si trovano a occuparsi da sole del carico dei figli che sono a casa da scuola, dei loro compiti online, della loro crescente insofferenza. Allo stesso tempo, devono gestire il lavoro in smartworking, e la tensione emotiva può acuirsi. In queste circostanze, molte donne hanno bisogno di un sostegno».

E le mogli di mariti violenti sono costrette a una prossimità continua.
«Già. Ad esempio, una donna che frequenta abitualmente il nostro centro di Roma ci ha appena confermato che, in casa con il marito continuamente presente, è molto più difficile evitare le dinamiche violente».

Ma queste donne in difficoltà riescono ad appartarsi per chiamare la helpline?
«Noi cerchiamo di fornire strategie e indicazioni: ad esempio, suggeriamo di telefonare quando si va a fare la spesa o a portare fuori il cane. Ma, certo, è più difficile rispetto a prima, e questa è una delle nostre principali preoccupazioni. I dati nazionali del 1522 (il numero antiviolenza promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) ci confermano che il numero delle chiamate è calato: in tempi di lockdown, è più difficile chiedere aiuto».

Lo avete riscontrato anche voi?
«Sì. Una nostra operatrice di Roma ci ha parlato, fra gli altri casi, dell’atteggiamento di chiusura da parte di una donna che, da quando è entrato in vigore il decreto, ha paura di essere scoperta dal marito. Molto dipende anche dalle risorse della donna, dalla qualità del percorso che ha già avviato e dalla sua consapevolezza della situazione».

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