I medici di famiglia non ci stanno più a fare la conta dei colleghi morti per il coronavirus per la carenza di dotazioni individuali di sicurezza. E dopo settimane in cui denunciano di avere a disposizione solo pochissime mascherine chirurgiche ciascuno e null’altro, annunciano di essere pronti a chiudere gli ambulatori. Gli infermieri si uniscono alla richiesta e sollecitano i tamponi rendendo noto il bilancio in vertiginoso aumento di decessi e positivi al virus nella loro categoria: 25 morti e 5.500 contagiati.
La Federazione degli Ordini dei medici, che ha contato l’ottantesimo decesso si schiera al loro fianco: “Sono passati più di due mesi dalla data di dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, il 31 gennaio. Eppure ancora oggi in particolare i medici di medicina generale, che costituiscono la prima linea nella gestione dei pazienti sul territorio, sono del tutto privi dei più basilari dispositivi di protezione individuale. Siamo stanchi di promesse”.
In una durissima nota il segretario generale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) Silvestro Scotti, dopo avere appreso dell’ennesimo decesso di un collega, è passato ai fatti preannunciando la chiusura degli ambulatori. “Devo dire addio a un amico, che come tutti noi medici di famiglia è stato scaricato dalle istituzioni ed è morto da solo. La sua morte per la burocrazia non vale il costo di una mascherina”, ha scritto Scotti, “siamo pronti a chiudere gli studi che non sono parte dei Livelli essenziali di assistenza”.
E ha stigmatizzato la mancata relazione tecnica a un emendamento che ha bloccato la possibilità per i medici di base di avere la forniture dei dispositivi di protezione per fronteggiare l’epidemia. “L’emendamento al Cura Italia – ha spiegato – mirava a chiarire che la fornitura dei dispositivi di protezione individuale doveva essere estesa ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta e ai farmacisti. La Fimmg considera inaccettabile il parere negativo della Ragioneria dello Stato all’emendamento 5.1 a prima firma Paola Boldrini (Pd), depositato in commissione Bilancio del Senato”. “A quanto si apprende – ha riferito – la Ragioneria, nel rinviare il parere del ministero della Salute, si è espressa in maniera contraria per la mancanza di una relazione tecnica utile a quantificare gli oneri finanziari prodotti da questa modifica. Mi chiedo quanto valga per lo Stato la vita di un medico”.
Intanto la Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Fnopi) indica che quella degli infermieri è la categoria che conta il maggior numero di positivi tra gli operatori sanitari: il 52% del totale, e rispetto all’età media dei camici bianchi contagiati, quella degli infermieri è la più bassa. Tonino Aceti, portavoce di Fnopi, ha chiesto con forza che vengano garantiti tamponi e dispositivi individuali di protezione: “Gli infermieri sono i professionisti che restano di più accanto al paziente, con turni anche di 12 ore ciascuno, che rendono molto più elevate le possibilità di contagio. Stanno pagando un prezzo altissimo”. E sottolinea: “Se non ci fossero loro i malati di Covid resterebbero abbandonati in un letto senza la possibilità di avere un contatto umano. Il loro e’ un contributo di professionalità, vicinanza e di vita”.
La voce è unanime: medici ospedalieri, di base, pediatri di libera scelta, infermieri chiedono di poter lavorare in sicurezza. “Senza strumenti – conclude Scotti – la pandemia non si affronta, e la situazione peggiorerà se e quando si allenteranno i contenimenti. Tutto ricadrà proprio sulle cure primarie, dove il contagio potrà riprendere il suo corso e creare nuovi focolai. Non siamo intenzionati a contare i nostri morti stando zitti”.