Una storia nuda e cruda quella raccontata da Duffy in una lunga lettera. «Lo stupro è come un omicidio: anche se resti in vita, ti senti morta». Le parole di Duffy non lasciano spazio a repliche: la cantante gallese, attraverso una lettera pubblicata sul suo sito ufficiale, torna sul rapimento e le violenze sessuali che, circa dieci anni fa, l’hanno strappata via all’improvviso dalle scene. «Era il giorno del mio compleanno e sono stata drogata in un ristorante», racconta l’artista. «Poi sono stata portata in un altro paese, ma non ricordo di essere salita su un aereo».
«Sono stata messa in una stanza d’albergo e lì sono stata stuprata. Mi ricordo il dolore e i miei tentativi di rimanere cosciente dopo l’episodio», rivela ancora. «Non potevo guardare in faccia il mio rapitore, ma ero consapevole di quello che era successo: lo seguivo e mi ritiravo». In molti, nei commenti social al suo primo sfogo, le avevano chiesto perché non aveva tentato una fuga: «Ho pensato di scappare, è vero. Ma non avevo soldi ed ero molto spaventata, avevo il timore che mi avrebbe ucciso».
In effetti, stando alla ricostruzione, il delinquente pare abbia in più di un’occasione ventilato a Duffy il suo desiderio di ucciderla: «Non so come io abbia trovato la forza di passare quei giorni. Ho sentito la presenza di qualcosa che mi ha aiutata a restare viva». Anche perché la drammatica esperienza ha avuto un seguito anche rientrati a casa: «Mi ha drogata per quattro settimane, ma non so se abbia abusato di me anche in quel periodo. Ero uno zombie, con lo sguardo sempre perso nel vuoto».
A salvarla – racconta – un’amica che l’ha vista in quelle condizioni: «Ero sul balcone, con un colorito giallo, avvolta in una coperta. Mi ha detto che sembravo morta». Da lì, piano piano, è ricominciata la vita, ma con dei segni addosso incancellabili: «Ho pensato che avrei dovuto cambiare nome, taglio di capelli, paese. Magari potevo diventare una fiorista, o qualcosa del genere. Poi invece ho capito che l’unico modo per liberarmi era tirar fuori il peso che avevo dentro: parlare a cuore aperto».
Senza bugie insomma, sperando di poter essere d’aiuto a tante altre persone che hanno vissuto episodi di violenza sessuale ma che non riescono a parlarne: «Non c’è più grande agonia di portarsi dentro una storia non detta», è la frase della poetessa americana Maya Angelou. Che per Duffy è diventata una specie di guida in un momento drammatico.