Povero Bojo, primo leader mondiale ad essere colpito gravemente dalla piovra del Coronavirus e ricoverato – la verità solo ieri sera, dopo una raffica di vane smentite ufficiali – nel reparto di terapia intensiva del Saint Thomas di Londra. Altro che “controlli di routine”, altro che “condizioni rassicuranti”. Una bomba questa notizia, dopo una giornata caratterizzata da un’ altalena di voci. A fare le veci di Johnson, nell’ emergenza, l’ attuale ministro degli Esteri Dominic Raab, che già in mattinata aveva presieduto una riunione di gabinetto.
Paffutello ed energetico, arruffapopolo e spaccone, ma intelligente ed autoironico, così descritto da IlTempo, il premier che ha fortissimamente voluto la Brexit – e su questa sua testarda battaglia ha stravinto le elezioni – non aveva capito nulla della pericolosità del Covid-19 e l’ avevo preso sottogamba, salutandolo quasi volentieri, convinto che avrebbe regalato ai suoi concittadini l’ “immunità di gregge”, mostruosa teoria genetica che lascia tranquillamente stramazzare al suolo i vecchi e i deboli e scommette sui sani e i robusti. E così il conservatore nostalgico del British Empire e zeppo di donne e di figli (quattro dalla seconda moglie, uno o due non riconosciuti, un altro in attesa dalla giovane fidanzata Carrie, per la cronaca ancora in regime di isolamento) ha colpevolente ritardato restrizioni e lockdown e combinato un bel disastro ai britannici, anche loro – ormai – nell’occhio del ciclone.
Ma il virus che viene dalla Cina non l’ha risparmiato e – perpetuando l’ antica e inesorabile legge del contrappasso – lo ha aggredito prima costringendolo ad una rigida quarantena di una decina giorni in quel di Downing Street e poi – visto che i sintomi, febbre alta e difficoltà respiratorie, non lo abbandonavano – lo ha scaraventato dritto dritto in ospedale, dove domenica sera sarebbe stato per ore attaccato a un ventilatore polmonare.
Drammatico l’impatto su un’opinione pubblica già stranita dal balletto della Brexit e – successivamente, subentrato il morbo – angosciata dalla positività del principe Carlo (poi rientrata a norma), dalle voci fake sulla morte del semicentenario Filippo, dalla fuga di Elisabetta (sulla soglia dei 94) nell’ arioso e quieto Castello di Windsor per sfuggire all’ epidemia e – come se non bastasse – dai sussurri di un forte rischio di contagio per i due virgulti reali William e Kate, di recente a lungo in compagnia di un operatore sanitario stroncato poco dopo dal Covid-19. Ne ha a mucchi di ragioni, insomma, l’ anziana ma tosta sovrana per sudare freddo. La morsa dell’ emergenza sanitaria, innanzitutto. Che, per la quinta volta appena nei suoi 68 anni anni di Regno, l’ ha trascinata a parlare direttamente e straordinariamente ai devoti sudditi al di fuori del rituale appuntamento degli auguri natalizi. È stata grande, Elisabetta. Dimessa e austera, preoccupata ma ferma. Ha dato la carica a un popolo provato e disunito. Ha evocato l’ esempio di come il paese ha superato con tenacia la prova della seconda guerra mondiale, iniettando speranza e orgoglio nei cuori dei 24 milioni che la ascoltavano e la ammiravano. “Torneremo a stare insieme!”, la sua frase più bella.
Ma la Regina – adesso – è in ansia, e molto, anche per le sorti del premier e del governo, che ha bisogno di una guida forte come non mai in questa fase. Il generoso Boris Johnson, dal letto d’ ospedale, aveva ripetuto che non lascerà il timone della nave Londra e cercato di ostentare buon umore. Ma le sue condizioni – il graduale peggioramento che lo ha fiaccato in quel modo – le tolgono il sonno. Di tutto ha bisogno ora la Gran Bretagna tranne che di un premier supplente (o addirittura di un nuovo premier), non legittimato dal voto popolare. Il Covid-19 e la trattativa con la UE sull’applicazione della Brexit non possono attendere. E la sterlina, in sofferenza sul dollaro, nemmeno.