Martedì, mentre a Roma il giovane tifoso napoletano Ciro Esposito moriva per una partita di pallone, il pallone per eccellenza, quello dei Mondiali brasiliani, gonfiava la porta alle spalle di Gianluigi Buffon decretando l’uscita prematura dell’Italia dalla competizione. Due parole del capitano azzurro e la Nazione aveva già scelto: la colpa era di Mario Balotelli, di quei giovani che vanno in campo e non fanno, di quei calciatori figurina, come avrebbe poco dopo precisato Daniele De Rossi, che giocano a favore di telecamera.
In secondo piano la salute precaria del calcio italiano, le strategie sbagliate di Cesare Prandelli, le prestazioni sottotono di un’intera squadra ferma sulle sue gambe. Se l’Italia ha rimediato in Brasile due sconfitte contro Costarica e Uruguay, la colpa è del personaggio Mario Balotelli: mix esplosivo di talento, irriverenza, arroganza e sguardo da impunito, che non fa nulla per compiacere i compagni di squadra, solo istinto, si rifiuta di maturare e interpreta alla perfezione il ruolo di calciatore 2.0. Un atleta che agli allenamenti preferisce la vita mondana, potenziale fuoriclasse da anni incompiuto, che vive sui social network e gestisce identità multiple; troppo nero per essere italiano, troppo italiano per essere nero. Il prodotto di un’Italia che ha perso da tempo la bussola in tema di valori, e stenta invece a trovare la quadra su immigrazione e integrazione, sempre più multietnica e troppo poco multiculturale.
Balotelli in sofferenza se negli stadi gli urlano ‘negro’, Balotelli che usa quella stessa parola per prendere le distanze dai suoi compagni di squadra italiani e scavare un solco tra loro e i suoi “fratelli africani”. Balotelli che scade nel vittimismo, che ci mette del suo e semplifica il lavoro ai media: fin troppo facile darlo in pasto a una folla che ha disperato bisogno di qualcuno, meglio se antipatico e di successo, su cui scaricare le proprie insoddisfazioni.
Attitudine, il vittimismo, tipicamente italiana (e l’atteggiamento di Super Mario è emblematico). Come italiana è la tendenza allo scaricabarile. Dalla politica allo sport passando per economia scuola e famiglia, sono questi due dei vizi più cari agli italiani. Uniti quando c’è da salire sul carro del vincitore, pronti a dividersi e a puntare il dito quando le cose vanno male. Rare doti autocritica e assunzione di responsabilità. Ci si stupisce quando qualcuno si dimette per aver sbagliato perché l’impunità è la regola, non ne siamo abituati; altrove farsi da parte è normalità. A qualsiasi livello le insoddisfazioni dipendono da errori o limiti altrui. Se ci si ritrova spalle al muro meglio negare l’evidenza, cercare commiserazione e provare a raddrizzarsi con un rapido colpo di coda. Atteggiamenti mediocri di una società di prime donne che viene da lontano e fa ancora troppo fatica a fare squadra, in campo e fuori.