di SAMUELE CIAMBRIELLO E LUIGI ROMANO
Affrontare sotto il profilo giuridico (e quindi politico) la questione carceraria non è semplice. In particolare, non lo è in questi giorni di tensione dove le agitazione e le paure di tutti sembrano scompaginare quelle che dovrebbero essere le priorità delle nostre comunità. Tra queste, la tutela delle fragilità umane. Infatti, le fratture in seno all’ordinamento, come quella che viviamo, spesso non appianano le contraddizioni sociali ma le acuiscono: i più deboli lo sono ancora di più, i più forti proteggono con maggiore vigore le proprie sicurezze.
Da giorni, raccogliamo le sofferenze del sistema di esecuzione penale, stressato fino alla ‘decomposizione’ da quest’emergenza sanitaria: in Campania ci sono 7374 detenuti (1300 sforano la capienza regolamentare) e 235 semiliberi (che oggi potranno essere in ‘licenza’ presso i propri domicili fino a giugno). Le carceri del nostro Paese vivono uno stato di eccezione permanente da molti anni, complice di questo ‘eterno ritorno’ è l’estensione ipertrofica dell’area penale (generata da scelte politiche securitarie in contraddizione con la diminuzione consistente dei reati) che ha periodicamente aumentato gli ingressi e le permanenze nelle strutture detentive. Sono in affanno tutte la braccia del sistema penale (e non solo nel nostro Paese): i Tribunali, le Procure, gli Uffici di Sorveglianza, le Direzioni degli Istituti, gli operatori giuridico-pedagogici, il comparto medico, la polizia penitenziaria. Pertanto, a fronte delle tragiche morti avvenute nel corso delle sommosse negli istituti agli inizi di marzo e delle tensioni (l’associazione Antigone sta raccogliendo numerose segnalazioni di ‘violenze’ e trasferimenti a mo’ di ‘punizioni sommarie’) che fin ora riescono ancora ad essere assorbite, attendavamo delle scelte governative più incisive che prendessero seriamente in considerazione la drammaticità del problema.
Invece, ci siamo dovuti confrontare con misure gattopardesche e rimaneggiate (le disposizioni raggiungeranno poco meno di 600 beneficiari nella nostra Regione), già presenti nel nostro ordinamento, che ad oggi non considerano affatto le difficoltà degli Uffici di Sorveglianza – normalmente sovraccarichi e a corto di personale – che non riescono in piena emergenza (come ogni ufficio pubblico) ad essere efficienti.
La questione penale è seria e per essere concretamente valutata necessita di una riconsiderazione complessiva. Ad oggi, per riportare la condizione detentiva nei parametri della nostra Costituzione bisogna prevedere dei meccanismi automatici, responsabilmente immaginati, che possano incidere immediatamente per deflazionare il carico dei detenuti, proteggendo le vite più esposte al contagio e prevenendo che le carceri si trasformino in una bomba-sanitaria con il progressivo sviluppo dei picchi epidemici e dei focolai autoctoni.
Fino a quando possiamo immaginare che l’estensione (nel tempo e nello spazio) delle restrizioni dei contatti con l’esterno possano proteggere gli Istituti di pena dal Covid-19?
Il carcere è una lente particolare attraverso cui guardare la nostra società e per tale ragione l’interrogativo non riguarda soltanto la vita dei detenuti.
Fino a quando possiamo immaginare che le nostre ‘quarantene’ e le limitazioni delle nostre interazioni – sicuramente ancora necessarie – possono ripararci dal contagio di questo virus, per molti aspetti ancora sconosciuto? È possibile che solo il controllo e la sicurezza dell’ordine pubblico siano le sole risposte che riusciamo a dare in questi momenti di paura per la nostra esistenza e per la vita dei nostri cari?
Il domani è già adesso e abbiamo il dovere di costruire soluzioni che contemperano diverse esigenze ma che abbiano come postulati inamovibili la tutela della dignità umana e la protezione delle fasce marginali. Nessuno deve essere lasciato solo.
Samuele Ciambriello (Garante dei detenuti della Regione Campania)
Luigi Romano (presidente campano ass. Antigone)