di Erica Gigante*
Il carcere da sempre ha rappresentato uno dei luoghi più a rischio per la propagazione di agenti patogeni facilitata dalla promiscuità e dalle scarse condizioni igieniche. Tale circostanza, se si pensa alla questione carceri ai tempi del coronavirus, sembrerebbe che essa passi addirittura in secondo piano!! Eppure, il totale dei detenuti nelle carceri italiane, si aggira intorno al 130% ciò significa che il sovranumero dei reclusi nelle carceri italiane varia dal 150% al 160% che tradotte in numeri significa che in Italia c’è un sovraffollamento carcerario di almeno 15 mila detenuti, per cui con la pandemia da coronavirus attuale, si potrebbero prospettare scenari davvero catastrofici sia per i detenuti che per gli stessi operatori se teniamo conto che ogni giorno entrano nelle carceri oltre 30 mila tra agenti di polizia penitenziaria, personale amministrativo, sanitari e personale dei servizi di trasporto. Appare, quindi, di tutta evidenza che le misure per contenere l’emergenza Covid- 19 di fronte a un sistema carcerario ormai al collasso, sembrerebbero del tutto impraticabili! Basti pensare come l’OMS si sia pronunciata su 2 aspetti specifici rispetto al problema. Le misure di protezione individuale (igiene dei locali, lavaggio delle mani,distanza di sicurezza di almeno un metro) e i dispositivi e le precauzioni da adottare in caso di contagio. Tra queste ultime la collocazione del detenuto contagiato da Covid19 per il periodo della quarantena, in uno spazio individuale o in mancanza in un ambiente multiplo ma adeguatamente ventilato e con letti posizionati ad almeno 1 metro di distanza l’uno dall’altro( si tenga conto che la normativa carceraria prevede per ogni detenuto uno spazio vitale di 3 metri quadrati di solo suolo di calpestio ad esclusione del letto, l’armadio e il lavabo!!). A tale proposito è chiaro che il problema del sovraffollamento carcerario, che affligge il nostro Paese da tempo, non assicura ad ogni detenuto, la corretta distanza in uno spazio troppo ristretto, scaturendo un trattamento inumano e degradante!! Non è un caso che la Corte EDU, già precedentemente, si espresse nell’importante sentenza- pilota Torreggiani che rilevò problematiche strutturali nell’organizzazione delle carceri italiane condannandola!!! Ed ecco che, a fronte di un quadro così tanto complesso, in un momento di piena emergenza, il nostro sistema carcerario per quanto la Costituzione all’art. 27 espressamente prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla funzione rieducativa, vive in una realtà ancora più complessa e preoccupante! Già oggi il Dap ci ha comunicato che tra i detenuti ci sono 37 positivi al Covid-19, di questi 9 sono ricoverati presso strutture ospedaliere mentre 8 sono quelli dichiarati guariti. Invece dei 30 mila operatori di polizia penitenziaria, 158 risultano positivi al tampone e 16 sono ricoverati, infine fra il personale dell’Amministrazione Penitenziaria 5 risultano contagiati. Sempre secondo quanto ci comunica il Dap, 2 sono i deceduti. Allora ci si chiede che cosa si sta facendo per prevenire eventuali ulteriori contagi? Molte sono state le proposte venute dal mondo della politica, del volontariato e dalla magistratura stessa. Tra i politici c’è chi ha parlato di minindulto svuota carceri, proposta che si è scontrata con buona parte della politica stessa o dell’applicazione del braccialetto elettronico ( per poi rendersi conto che non ce ne sono disponibili nel numero necessario!). Le associazioni di volontariato (Antigone) suggeriscono per chi ha un residuo di pena inferiore ai 3 anni ed abbia fatto un percorso penitenziario positivo l’affidamento ai Servizi Sociali. I garanti regionali dei diritti della persona hanno più volte richiamato il senso di responsabilità non solo del Governo ma anche dei magistrati di sorveglianza a cui è stato chiesto di applicare in misura maggiore, le misure alternative alla detenzione previste dalla legge, in particolare la detenzione domiciliare a chi ha un residuo di pena di 18 mesi tenendo anche conto di tutte quelle persone detenute vulnerabili come gli anziani, i cardiopatici, gli immunodepressi,i diabetici, i pazienti oncologici ( salvo eccezione per alcune categorie di reati o di condannati). Anche positivo è stato attribuire alle singole amministrazioni carcerarie il potere di decidere su alcune misure come sospendere il rientro serale presso gli Istituti di detenzione dei semiliberi o rendere quotidiani i colloqui telefonici attraverso anche videochiamate della durata di 15 minuti, con l’ingresso di telefonini già programmati e predisposti. Tuttavia anche con questi provvedimenti all’interno delle carceri non rimarrebbero spazi sufficienti per affrontare un eventuale focolaio epidemico. Voglio sottolineare che i Comitati Tecnici Scientifici che stanno lavorando in sintonia con il Governo, ci dicono che non bisogna abbassare il livello di guardia per i prossimi 12/18 mesi in attesa della realizzazione di un vaccino. Ciò significa che in questo arco di tempo il pericolo di riaccensione di focolai epidemici è reale. E allora perché, mi chiedo, non attrezzare anche per le carceri, così come si sta attuando per l’emergenza sanitaria sul territorio, l’edilizia industrializzata in acciaio? Ricordo che il Procuratore Capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, oltre un anno fa lanciò l’idea di costruire addirittura nuovi penitenziari utilizzando moduli prefabbricati a basso costo rispetto alle tradizionali opere murarie. In una fase di emergenza che stiamo attraversando, una tale soluzione per l’isolamento degli eventuali contagiati e per garantire loro un efficace monitoraggio sanitario, potrebbe risultare una scelta quasi obbligata e risolverebbe i complessi problemi legati allo spazio e al contagio epidemico, infatti, anche in mancanza di grandi spazi basterebbero i cortili o altre aree all’aperto di cui sono dotati molti istituti penitenziari sul territorio nazionale! Ci sono industrie in grado di offrire varie tipologie di metrature anche di più piani, che si possono sovrapporre ed assemblare con bagni e docce, completamente automatizzate con la tecnologia più avanzata e funzionale esistente e persino con arredamenti inamovibili e quindi sicuri e dove potrebbero essere collocati quei detenuti che risultassero positivi al tampone o che fossero pocosintomatici in modo da garantire l’incolumità della rimanente comunità carceraria. A mio avviso questo potrebbe essere anche un modo per tenere sotto controllo eventuali focolai epidemici all’interno delle carceri.
*avvocato e criminologa