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Coronavirus: ecco come potrebbe essere la “fase 2”

Alla riapertura non sarà niente come prima. Ci sarà un cambiamento radicale delle nostre abitudini. La “fase 2” sarà difficile e più lunga di quanto possiamo immaginare.

Coronavirus, la fase 2: così ripartirà il Friuli Venezia Giulia ...

Lievito introvabile, farina e prodotti in scatola che vanno a ruba, la pasta che dopo anni si riprende nei consumi. Molte delle statistiche sulla spesa di queste settimane di pandemia saranno solo un ricordo però, non certo un indicatore delle nostre nuove vite. Presto o tardi si tornerà alla normalità, si ritornerà a lavorare e quindi anche a mangiare piatti pronti. Spenderemo meno, la crisi sarà inevitabile, ma la piccola rivoluzione a cui assisteremo sarà nel “come” più che nel “cosa” consumeremo. Non cambieremo la nostra dieta però e i trend nel settore da osservare non saranno più quelli su avocado toast e latte di avena, bensì riguardo canali distributivi, tecnologie e nuovi gesti da rendere automatici.

La quarantena ha chiuso in casa gli italiani, ha imposto delle distanze di sicurezza ma anche polarizzato le abitudini: si è riscoperto il commercio di prossimità e al tempo stesso la consegna a domicilio. Due fenomeni che la sociologia dei consumi ha sempre pensato in contrasto fra loro ma che invece saranno semplicemente il nostro futuro nelle città: vado a piedi a comprare comodamente sotto casa alcuni prodotti freschi o quotidiani, mi faccio arrivare alla porta tutto il resto. La rinascita del commercio di prossimità e dall’altro lato dei servizi di e-commerce e delivery era già una realtà nelle grandi città, basti pensare che i centri commerciali immensi sono in crisi da anni e che le stesse catene stanno infattiinvestendo nei mini-market urbani – le nuove drogherie di una volta praticamente.

Non solo nella realtà, a causa delle restrizioni quando è esploso il fenomeno dell’e-commerce e del delivery, i colossi hanno arrancato nel cercare di soddisfare il boom di richieste, mentre invece gli indipendenti e le micro attività si sono dimostrati agili, veloci e con una gamma prodotti diversa, più interessante. Mentre i big rallentavano i tempi di spedizione, si è visto rinascere però il commercio elettronico specializzato. Davide ha vinto su Golia e ha l’opportunità grazie alla competenza di fidelizzare molti nuovi clienti.

Non potendo uscire di casa e percorrere più di 200 metri, la scelta di prodotti e servizi che ci sembrava infinita fino a ieri si è drammaticamente ridotta ordinanza dopo ordinanza. Ma dopo un primo momento di austerity imposto dalle circostanze, gli e-commerce e i delivery hanno reso l’accesso alle merci nuovamente potenzialmente infinito. A casa ci si può far spedire tutto ciò che pesa, che conosco già, che sarebbe introvabile comunque nella GDO tradizionale. Cestelli dell’acqua, carta igienica, i biscotti preferiti, formaggi del contadino e verdure bio, panettoni o colombe, il cioccolato di Modica o il vino naturale. Secondo i dati Nielsen, l’emergenza contagio ha determinato un aumento delle vendite online di prodotti di largo consumo pari all’81%, circa 30 punti percentuali in più rispetto al periodo che ha preceduto l’esplosione dell’emergenza sanitaria legata. Ci siamo sentiti intrappolati perché non potevamo “andare”, ma magicamente abbiamo anche scoperto che le cose potevano venire a noi, come la montagna con Maometto. E la scelta è molto più ampia.

Abbiamo imparato ad aspettare, pazienti, in fila o che finalmente il pacco suonasse al citofono di casa. Ora-subito-adesso puoi avere solo quello che trovi nei dintorni, per il resto serve pianificare, e aspettare. La normalità per generazioni era stata sconvolta da Amazon Now, dalle consegne in 24 ore o meglio ancora in giornata, da un commercio fondato sull’impulso che, lo dice il nome, non è ragionato. Ora abbiamo imparato a valutare meglio, a chiederci se qualcosa ci serve davvero, ossia se lo vorremo ancora fra una settimana. Spesso la risposta è no. Consumeremo con più oculatezza.

Distanziati, spaventati, molto più consapevoli dei rischi per la salute di una corretta igiene, questo diventerà un valore aggiunto insostituibile nel settore della ristorazione. Guanti in lattice, capo coperto, mascherine e controlli severi (per davvero) saranno la norma durante la preparazione dei cibi. Già si ipotizzano camerieri in mascherina e standard di servizio al tavolo in cui il “fai da te” diventerà la norma. Per la prima volta la sicurezza igienica dei locali assumerà un’importanza fondamentale nelle preferenze dei clienti.

Chi sta lavorando? Chi riuscirà a riprendersi dopo? La risposta è la stessa, chi aveva già da prima un rapporto con il proprio cliente e lo aveva coltivato nel tempo. I ristoranti con una clientela abituale consolidata riprenderanno subito a lavorare perché saranno proprio i primi posti dove si vuole andare, di cui ci si fida, che si vogliono sostenere. I locali anonimi che hanno puntato tutto sul passaggio, sul turismo mordi e fuggi, sul “cliente per caso”, avranno grandi difficoltà.

No a sale affollate, no a tavolate, no ad assembramenti, anche al ristorante. Quei giorni sono e saranno lontani, soprattutto per i locali con sale gremite e chiuse si dovrà procedere a diminuire i tavoli e garantire le distanze. Per pizzerie o trattorie dall’elevato numero di clienti questo significherà ripensare i conti, perché con 1/3 dei tavoli occupati, non si arriva a fine mese. Chi ha giardini, spazi all’aperto e locali ampi o con tavoli distanziati, verrà sicuramente premiato sia dalle normative che dalle scelte dei clienti.

Gestire il flusso nei ristoranti sarà una necessità, igienica e finanziaria, e prenotare per tempo diventerà la norma. Sarà la volta buona che si affermeranno per davvero le prenotazioni con carta di credito, prepagate – ma con cancellazione gratuita. Questo è il nuovo trend anche nel turismo, perché quello che resterà in noi sarà la consapevolezza dell’imprevedibilità nella vita.

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