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In 7 Paesi guidati da donne il coronavirus ha fatto meno danni. Solo fortuna?

Non vale il ritornello di Zucchero, queste donne non cercano i guai, li risolvono. Fra i paesi che meglio hanno affrontano l’emergenza coronavirus ci sono quelli guidati da donne. A farlo notare sono stati due editoriali della Cnn e della rivista Forbes che hanno analizzato i risultati ottenuti contro l’epidemia in paesi di diversi continenti, di dimensioni differenti e non con il medesimo colore politico alla guida, ma con una cosa in comune: donne a capo dei governi.

A Taiwan le misure per controllare l’epidemia sono state immediate e ora il paese esporta mascherine in tutto il mondo.

La Germania ha avuto i primi casi in Europa e ha fatto test a tappeto limitando i contagi. Il mese di lockdown in Nuova Zelanda è stato più efficace che altrove. Tutti paesi guidati al femminile, che sono però una minoranza: meno del 7% dei leader mondiali sono donne.

Cosa hanno fatto meglio degli altri? Le loro decisioni sono state tempestive, l’accesso ai servizi medici ben gestito, immediato il tracciamento dei positivi. Lo ha fatto Taiwan con i suoi 24 milioni di abitanti vicinissimo alla Cina, lo ha fatto la meno popolosa Nuova Zelanda e la ben più popolata Germania. Vale lo stesso per i paesi scandinavi, Svezia esclusa: Islanda, Danimarca, Norvegia, Finlandia.

La risposta svedese non c’è stata, il paese è rimasto aperto e ha più contagi degli altri limitrofi. Il premier è un uomo come il primo ministro inglese Boris Johnson finito lui stesso in ospedale e il presidente americano Donald Trump, ora a guida del paese con più casi al mondo. La risposta machista, come è stata definita, non ha funzionato.

Angela Merkel, in Germania, non ha sminuito l’allarme. «Rischiamo di avere il 70% di tedeschi infettati» ha detto già a gennaio, mentre ancora in Gran Bretagna Johnson parlava di non chiudere il paese dicendo che «molti avrebbero perso i propri cari», ma si sarebbe creata l’immunità di gregge. La Germania ha potuto contare anche su un solido sistema sanitario e un numero di letti in terapia intensiva molto più alto del resto dei paesi d’Europa, capace di ospitare pazienti italiani e francesi.

La presidente taiwanese Tsai Ing Wen, accompagnata dall’epidemiologo Chen Chien-jen, noto per il suo impegno contro la Sar, ha introdotto 124 misure restrittive per bloccare il contagio, già a gennaio. Sono stati immediati i controlli sugli aerei dalla vicina Cina, è stata aumentata la produzione di mascherine e sono stati tracciati i contagiati.

In Nuova Zelanda Jacinda Ardern ha messo in atto il lockdown con un occhio ai bambini e uno alla gentilezza. Ha adottato in un primo momento il piano di gestione delle pandemie studiato con l’Australia: due settimane di isolamento per gli ingressi nel paese, isolamento dei positivi e tracciamento dei contatti. Dal 25 marzo la chiusura è totale e i morti nel paese non hanno superato le 10 unità.

La premier norvegese Erna Solberg guida il primo paese pronto per uscire dalla crisi economica mondiale da Covid secondo una classifica pubblicata dalla BBC. Il 20 aprile apre per prima cosa gli asili ed è stata l’unica al mondo a tenere una conferenza stampa trasmessa in tv in cui si è rivolta ai bambini per spiegare loro cosa stava succedendo. Le prime classi sono tornate in aula in questi giorni in Danimarca dopo una chiusura seria di tutto il paese di un mese. Il numero dei ricoveri è in calo costante dall’inizio di aprile nel paese guidato da Mette Frederiksen.

Sanna Marin in Finlandia ha reso la capitale Helsinki zona rossa per evitare che il contagio nel resto del paese. Ha bloccato la parte più popolata della nazione, salvando gli altri. La Finlandia ha anche grandi scorte dei beni diventati di prima necessità: le mascherine e tutti i dispositivi di protezione. Pare essere un retaggio della Guerra Fredda quando i paesi scandinavi si sentivano minacciati dalla vicina presenza sovietica. In Islanda Katrín Jakobsdóttir ha una popolazione di appena 360mila abitanti e ha offerto tamponi gratuiti a tutti scoprendo che gli asintomatici sono la metà dei positivi. Impossibile individuarli per gli altri paesi che fanno i tamponi solo in presenza di sintomi. Gli asintomatici sono stati isolati e nessuna attività è stata chiusa. Dal primo aprile è attiva una app di tracciamento volontario.

Non tutte hanno fatto le stesse scelte, ma hanno fatto scelte tempestive e ragionate in base alla realtà dei paesi che governano: distribuzione della popolazione, densità abitativa, scorte, disponibilità ospedaliere. Non hanno fatto proclami e non ha perso il polso della situazione. Le doti dei governanti migliori sembrano albergare nelle donne.

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