Caro Direttore, per assenza da Scampia a causa di partecipazione in città ad un incontro europeo sul volontariato e la cittadinanza attiva non ho potuto essere presente all’imponente partecipazione popolare ai funerali di Ciro Esposito, vittima di una violenza assurda, anche se mi sono giunti gli echi non solo da parte dei media. Al di là delle cronache e dei commenti di occasione per questa emersione di Scampia a livello nazionale per una triste vicenda che ha stroncato la vita di un giovane tifoso ma che ha anche messo in mostra la dignità con cui la madre e la fidanzata hanno affrontato la sofferenza e la lunga agonia del loro caro, e la partecipazione corale di gran parte della popolazione del quartiere. Ho apprezzato tra l’altro il bianco vestito con cui la madre ha presenziato all’estremo saluto secondo il rito evangelico, come è costume in altre culture, e la sua sensibilità religiosa invocante silenzio e preghiera nella celebrazione del pubblico funerale.
Al di là della partecipazione emotiva all’evento, avverto l’esigenza di qualche ulteriore elemento interpretativo per comprendere uno dei più significativi momenti di mobilitazione e partecipazione collettiva del quartiere, se non si vuole richiamare nel novembre 1990 la visita di Giovanni Paolo II a cui è stata poi intitolata la Piazza dei grandi eventi. La domanda che affiora riguarda le motivazioni ed il significato di questa straordinaria partecipaziome e mobilitazione collettiva di carattere popolare intorno all’aggressione, ferimento, sofferenza e morte di un figlio del quartiere. E’ troppo facile fare ricorso alla figura della Grande Madre, se si vuole della Madre addolorata al letto del figlio per 53 giorni, all’alternarsi di speranze e delusioni per il combattimento per la vita di Ciro, all’identificazione con il giovane tifoso ingiustamente colpito, al sentimento di una ferita mortale che non è solo quella inferta al figlio di Scampia. Ritorna alla mente un inno medievale che si recita il giorno di pasqua nella Messa: «Morte e vita si sono affrontati in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora vivo, trionfa». Uno dei tanti lenzuoli con messaggi apposti ai cancelli dei condomini recita: «Hai combattuto per 50 giorni contro la morte, spesso ci hai lusingato che stavi bene, poi ti sei aggravato, sorridendo ci hai lasciato. Buon viaggio».
Volendo più specificamente riferirci ad una nota categoria sociologica possiamo evocare quella durkheimiana di “effervescenza collettiva” riguardante fenomeni sociali di carattere fortemente espressivo e coinvolgente, che da luogo anche ad un nome nuovo alle cose come alla Piazza Giovanni Paolo II ribattezzata da qualcuno “Piazza Ciro Esposito”. Questa espressività si è manifestata nei numerosi teli bianchi apposti dall’inizio a muri e cancelli, per esprimere partecipazione e condivisione alla sofferta vicenda Ciro e della sua famiglia ed invocante giustizia. Da questa mobilitazione come effervescenza collettiva deriva anche la diffusa esaltazione in striscioni di Ciro come “Eroe” accompagnata dalla riproduzione del suo volto giovanile, o come angelo azzuzzo come recita poeticamente in dialetto la scritta di un’altro lenzuolo: <<Insieme agli angeli sei andato in paradiso. Forse ci manchi, ma fai più bello il cielo. Ciao Angelo azzurro>>. Alla luce di questa mobilitazione collettiva che si ritrova nei suoi martiri, eroi e santi, si può comprendere come nascano più o meno spontaneamente rischieste di riconoscimento di eroi e santi, come avvenne in occasione del funerale di Giovanni Paolo II in piazza S. Pietro non solo spontaneamente. Non si possono liquidare illuministicamente questi fenomeni come “popolari”, senza coglierne il significato socio-antropologico non solo per la vita di un quartiere, ma per l’intera società che da un’altra parte celebra l’imprenditore di una produzione di qualità.
Da più disincantati ma non solo è sollevato l’interrogativo se tutte le forme di questa mobilitazione e partecipazione collettiva popolare siano puramente spontanee o organizzate. In maniera più spontanea, da singoli gruppi di tifosi o di abitanti di condomini e Lotti sono partite nella prima fase della malattia di Ciro le espressioni di partecipazione e condivisione con scritte su lenzuoli e striscioni. Più organizzata da parte di tifoserie la partecipazione al funerale che è stata seguito con i colori azzurri. Non deve sfuggire una poco degna strumentalizzazione politica per scopi di consenso in primo luogo da parte del Presidente della Municipalità, avv.Pisani anche per la sua qualifica di avvocato di Maradona, e dello stesso sindaco De Magistris con dichiarazioni fuori luogo nel tono al funerale, con la disponibilità dell’Auditorium della Municipalità per la veglia funebre e della Piazza Giovanni Paolo II per i solenni funerali. Meno manifesta l’incidenza di interessi sportivi se non altro per un’esaltazione del calcio nei suoi eroi che appassiona, aggrega e conferisce identificazione a tanti napoletani ma non solo.
Onore a Ciro Esposito ed alla sua nobile famiglia in una grande prova.