Alla fine, che si parli con il patron di un’osteria nella più sperduta valle alpina o con l’executive chef di un tre Stelle Michelin, le domande che si pongono in questi giorni sono sempre le stesse. Immutabili e per ora senza una risposta ufficiale: quando potremo riaprire, come dovremo lavorare e quale clientela verrà nei nostri locali. Ma, a parte una data prevedibile ma non certa (la sensazione generale è per fine maggio-primi di giugno), le modifiche tecniche da eseguire sono praticamente note a tutti – con le grandi complicazioni previste – e le speranze di rivedere gente seduta al tavolo sono simili.
Ma c’è un aspetto, importante, che non ha una visione comune ed è quello della cucina d’autore che verrà e conseguentemente dei prezzi.
Interessante partire dall’opinione di un esperto, che non ha la preoccupazione di gestire un locale come Matteo Berti, chef e direttore didattico di Alma, il più autorevole centro di formazione della cucina italiana a livello internazionale: immagina menù più corti e piatti ridisegnati all’insegna della semplicità. «Perché avremo meno mani a disposizione, dovendo impiegare brigate meno numerose per non ammassare personale. Quindi minore complessità nel piatto, meno passaggi e meno dettagli – spiega – perchè se posso permettermi di sfogliare il basilico togliendo la parte centrale del nervo, vuol dire avere personale a sufficienza e sarà difficile. Se compro e sgrano i piselli giorno per giorno in cucina, è per lo stesso motivo. Questo tipo di operazioni salterà, come i “passaggi” di finitura». Aggiungiamo: il concetto sarà comunque più gestibile per la ristorazione medio alta (abituata a lavorare con pochi coperti e in cucine di livello) che per la ristorazione di massa, costretta per di più a non poter macinare i grandi numeri necessari alla sua sopravvivenza, a causa del distanziamento richiesto fra i tavoli.
GLI CHEF
Addio piatti e cucine stellate? Non usa le mezze misure Davide Oldani, chef-patron del D’O a Cornaredo «La cucina cerebrale, nelle quali si raccontano storie, e se uno non le capisce non è pronto a consumarla, non esisterà più: quello che poteva essere un’idea futurista, la mia di cucina Pop, si è rivelata oggi la vera strada percorribile per affrontare il futuro».
Non pochi prevedono una moria di stellati, come Igles Corelli che è stato un avanguardista della cucina «Molti ragazzotti sotto i trenta anni e anche sotto i venticinque che hanno aperto ristoranti finti stellati, gourmet nell’arredo complessivo e insapore nei piatti, con formidabile ego dopo qualche spesso piccola esperienza da blasonati si troveranno a mal partito. Dovranno rinunciare ai piatti fighi da social, ai like, alle foto patinate dei fotografi superfood, insomma a tutto quel mondo che si dovrà dare una bella regolata. Andranno forte le vere trattorie con cibo buono e goloso» ha sentenziato in uno scritto, ovviamente molto discusso sui social. Non è il solo a pensarlo, qualcuno persino se lo augura senza dichiararlo in pubblico. Ma il saggio Antonio Santini, il più famoso patron italiano e titolare del mitico Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio puntualizza. «Adesso funzionerà solo la cucina tradizionale? Non lo penso, i grandi cuochi riusciranno sempre a emozionarci, gli asini a fare fregnacce».
Magari le carte saranno meno ampie, come da anni succede all’estero saranno disponibili solo i degustazione. «In effetti, credo che tutti i menu saranno un po’ più corti, il nostro incluso dove però i risotti resteranno in toto – afferma Christian Costardi, stellato del Cinzia a Vercelli – ci sarà ancora più territorio, tanta Italia, tanta attenzione ai piccoli produttori. Ritengo importante che ognuno lavori anche per sostenere gli altri, in un circolo virtuoso. Ma al momento non penso che ridurre i prezzi sia una strada per noi percorribile: non critico chi lo farà, ma noi restiamo coerenti». Caterina Ceraudo, chef del Dattilo di Strongoli e cuoca dell’anno per la Michelin, è ancora più decisa. «Si cercherà più concretezza, più sapore, piuttosto che l’estetica. Non sarà più strano trovare gli spaghetti aglio olio e peperoncino in un ristorante gourmet. I prezzi? Il mio degustazione non va oltre i 50 euro. Altri, magari nelle grandi città, saranno costretti a farlo. A livello nazionale molti prezzi andranno rivisti. Sarò impopolare nel dirlo ma chi dovrà rivedere i prezzi, forse avrebbe dovuto pensarci prima».
I PREZZI
Il capitolo prezzi è il più delicato. Quasi impossibile trovare qualcuno che parla di una discesa. Anche lontano dagli stellati. Franco Pepe, re della pizza, la vede così: « Sinceramente non potrò certo abbassare i prezzi. Primo per non svendere il prodotto, secondo perché dovrei rifarmi diminuendo il personale. Inoltre, se un prodotto prima lo vendevo a un certo prezzo e poi dovessi diminuirlo, non so… è come dire che lo facevo pagare troppo prima. E sappiamo che non è così». Mauri Rossi, patron dell’Osteria della Villetta a Palazzolo sull’Oglio, piccolo ‘cult’ per chi ama il genere è perplesso «Bisognerà tenere i prezzi sotto controllo, il che non vuole dire abbassarli. Anzi se guardassimo alla situazione economica, bisognerebbe aumentarli pensando alle difficoltà dei fornitori e dei costi fissi per un locale con meno coperti. La soluzione potrebbe essere a una maggiore fantasia ai fornelli servendosi di materie prime meno costose». Oppure creare due linee distinte di offerta, su cui sta ragionando persino uno dei santuari dell’alta cucina italiana, il tristellato Da Vittorio a Brusaporto. «Credo sia giusto nei primi mesi della Fase 2 proporre la carta storica a chi potrà permettersela ancora – dice Francesco Cerea, il ‘manager’ della famiglia – ma presentarne un’altra più semplice, standardizzata al massimo, di uguale qualità ma a un prezzo inferiore. Inutile nasconderlo: quasi tutti avranno meno euro da spendere per un’esperienza al ristorante o potranno concedersela una volta al mese e non una alla settimana»