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La Lombardia si rifiuta di utilizzare fondi stanziati per i detenuti: “Non rinunciamo al rigore delle regole”

È di pochi giorni fa la notizia che la regione Lombardia ha rifiutato di utilizzare i fondi che la Cassa delle Ammende, ente pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia, ha messo a disposizione per sostenere i detenuti, sposando così quelle misure che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene necessarie per fronteggiare l’emergenza Covid19 in carcere. Si tratta di un finanziamento di 5.000.000 euro complessivi per tutte le regioni, con l’obiettivo di favorire l’accesso alle misure non detentive con il reperimento di alloggi pubblici o privati di cura, di assistenza o accoglienza delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria privativi o limitativi della libertà personale, ove possano essere alloggiati sia coloro che abbiano i requisiti giuridici per accedere alle misure non detentive sia coloro che per motivi sanitari siano in condizioni non compatibili con la permanenza in ambito penitenziario.

Infatti, come è noto, coloro che hanno un quadro clinico già complesso corrono un grave pericolo a rimanere in carcere, in cui la diffusione del virus significherebbe una vera e propria tragedia. Inoltre il governo, con il Decreto Cura Italia ha previsto (riproducendo una norma già presente nella cosiddetta Legge Svuotacarceri 199/2010) la detenzione domiciliare per coloro ai quali rimanga da scontare una pena inferiore ai 18 mesi, seppur con stringenti limitazioni rispetto alla platea di beneficiari.

Così, in una circolare indirizzata ai Provveditori regionali di amministrazione penitenziaria, alla Conferenza di Regioni e Province Autonome, alla Commissione Politiche sociali, ai direttori di uffici interdistrettuali di esecuzione penale esterna e a tutti i soggetti interessati a una programmazione condivisa degli interventi per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19 negli Istituti Penitenziari, la Cassa delle Ammende ha precisato le aree di intervento cui intende rivolgersi: la collocazione in unità abitative indipendenti o di accoglienza in ambito comunitario, nel rispetto dei requisiti previsti dalla normativa vigente in materia; interventi di sostegno economico e sociale per i destinatari delle misure, con particolare riferimento alle detenute con prole minore di età; aiuto per il soddisfacimento dei bisogni primari, nelle more della fruizione del reddito di cittadinanza; supporto per la presentazione della domanda per il reddito di cittadinanza o di altra misura a sostegno del reddito. Ha inoltre richiesto che le singole regioni presentassero delle proposte progettuali per l’utilizzo e la gestione di tali fondi, con l’indicazione dei destinatari delle misure, del lasso di tempo coinvolto e dei fabbisogni cui si intende rispondere. Molti soggetti, tra cui la regione Campania, di cui avremo modo di parlare diffusamente più avanti, si sono da subito attivati per rispondere a tali necessità, mentre la Regione Lombardia, cui era indirizzato un finanziamento di 720.000 euro, per il numero maggiore di detenuti in tutta Italia, si è rifiutata, non perdendo occasione anche stavolta di fare becera campagna elettorale.

Infatti, pur trattandosi di fondi finalizzati esclusivamente agli scopi suindicati, l’assessore regionale della famiglia Silvia Piani ha dichiarato che i fondi verranno rifiutati, a meno che non vengano convertiti e utilizzati per tutelare la salute della polizia penitenziaria, come riconoscimento del lavoro svolto fino a questo momento.

“La regione Lombardia non aderirà al protocollo poiché trova non condivisibile la scelta di prediligere interventi di deflazionamento della popolazione detenuta, come l’adozione di misure di detenzione domiciliare, anche in funzione di tutela delle persone offese dal reato”: queste le dichiarazioni dell’assessore. Eppure non dovrebbe essere una scelta tutelare il diritto alla salute dei detenuti, così come deflazionare le presenze in carcere per ridurre il rischio del contagio, avendo inoltre a disposizione dei fondi per sostenere i più bisognosi. Eppure, seguendo le orme del capo politico della Lega che ha definito le misure contenute nel decreto Cura Italia equivalenti al mandare a spasso i carcerati, la giunta lombarda si ostina a non istruire la delibera necessaria per la gestione di tali fondi, affermando di non rinunciare al rigore delle regole per preservare la sicurezza dei propri cittadini.

Ciò non è solo irrispettoso di quanto deciso a livello governativo per decongestionare le carceri ma dell’intera gamma di valori che ispirano o dovrebbero ispirare il nostro intero ordinamento giuridico, tra cui la dignità umana e il diritto alla salute, diritti inviolabili per ogni uomo, prescindendo dal tipo di reato commesso. Inoltre la regione Lombardia manifesta in questo modo una chiara volontà politica di abbandonare chi non ha gli strumenti per far valere i propri diritti, in barba a tutte le sue funzioni istituzionali.

La narrazione è sempre la stessa: si sceglie un nemico, in questo caso i detenuti, da dare in pasto all’opinione pubblica e poi si negano i suoi diritti legittimando le proprie azioni con la tutela della sicurezza degli altri cittadini. Lo stesso è avvenuto con i migranti, con il decoro cui devono attenersi i senza fissa dimora e potrebbe accadere a tutti gli ultimi e dissidenti della società, alimentando una lotta tra poveri che dilania l’intera comunità: il nemico potrebbe essere, da un giorno all’altro, chiunque di noi.

 

A cura di Giusy Santella

 

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