Il carcere non è la soluzione al problema della sicurezza, ma è un problema da risolvere. Mi sa che con l’inquinamento “politico-culturale”(si fa per dire) che continua a stupidire i cervelli e a prosciugare le possibili sorgenti di una nuova sensibilità individuale e collettiva, difficilmente potremo assistere in tempi prevedibili ad un cambio di rotta su un tema complesso come quello del carcere. Roberto Saviano giustamente si è chiesto:” ma lo Stato di diritto vale anche per Caino?” Sulle scarcerazioni, o meglio sugli arresti domiciliari ai boss, agli uomini accusati di associazione a delinquere, vedo troppe polemiche diversive e da tifosi sugli spalti. E’ possibile ipotizzare che per per 376 arresti domiciliari di detenuti i circa duecento magistrati coinvolti, servitori dello Stato al pari di tanti altri magistrati vocianti da diversi pulpiti, siano tutti eversori delle leggi italiane? L’uso della paura, la disinformazione e le mancate riforme.
Non garantisti, nè giustizialisti, ma solo legalitari. Articoli della Costituzione, leggi, diritto internazionale ci ricordano che la giustizia non consiste semplicemente nel punire i colpevoli. Occorre prendersi cura di loro, creando opportune strutture di prevenzione, di rieducazione e reinserimento. E il carcere, questo grande rimosso sociale, ritornerà a rappresentare l’unica cartine di tornasole della nostra civiltà.
Ma chi si interessa di carceri non sarà per caso affetto da una strana forma di buonismo? Al contrario: carceri che funzionano e che rispettano i diritti dei detenuti, sono carceri da cui, scontata la pena, usciranno individui in grado di reinserirsi nella comunità le cui regole avevano infranto. Persone che superando la recidiva,renderanno le vite di tutti noi più sicure. Evitare la recidiva è un vantaggio anche economico.
Ecco perché sulle pene non bisogna cambiare le regole in corsa. Il tema di cui discuto con voi è quello della retroattività o meno di una legge che regola l’esecuzione della pena. Norme come quelle che prevedono, per ragioni gravi di salute, la detenzione domiciliare al posto del carcere incidono molto sulle libertà personali. Recentemente la Corte Costituzionale si è espressa sulla “Spazzacorrotti”, dicendo che è inammissibile impedire l’applicazione di misure alternative al carcere per fatti accaduti in tempi precedenti all’entrata in vigore della legge. E voglio anche ricordare la motivazione con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata sull’illegittimità costituzionale dell’art 4-bis, comma 1, dell ‘Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia. Un pò di memoria per una cultura costituzionale dell’esecuzione penale. E veniamo ai domiciliari che hanno destato scandalo, ma i magistrati hanno agito nel rispetto del diritto e quindi hanno realizzato l’atto antimafia più potente.
Il numero che si legge sui giornali, che riferiscono di 376 persone,tutti boss in libertà, va esaminato con attenzione e facendo dei doverosi distinguo. Tra queste vi sono solo 3 persone catalogate come articolo 41 bis, e quindi appartenenti alla grande criminalità mafiosa, una sola classificata come “alta sicurezza 1”, cioè fino a poco tempo fa classificata 41 bis, e poi 372 persone classificate come “alta sicurezza 3”, cioè inserite nel brodo di coltura della criminalità organizzata. Bisogna però tenere presente che queste persone, se hanno potuto usufruire della detenzione domiciliare è perché avevano un residuo di pena pari al massimo a 18 mesi. Inoltre, poiché il provvedimento indicato non si applicava ai reati di mafia vuol dire che questi soggetti avevano già scontato per intero la parte di pena riguardante l’appartenenza alla criminalità organizzata. Di questi ultimi 372, peraltro, ben 195 erano persone non ancora condannate con sentenza definitiva, per le quali, quindi, il beneficio è consistito nella conversione della misura cautelare in carcere in una di arresto a casa. Questi casi, peraltro, sono di competenza delle corti giudicanti e non della magistratura di sorveglianza, competente solo per i detenuti condannati in via definitiva. Per le misure prese dalla magistratura di sorveglianza, che esamina il percorso compiuto dal singolo detenuto, non è da escludersi un riesame del percorso fatto, che è anzi già previsto. Per quelle date dal giudice di merito, invece, sarebbe grave se si pensasse che l’esecutivo possa intervenire con indicazioni su decisioni che competono invece soltanto al giudice di merito.
Mi sembra in sostanza che si sia determinato un grande allarme attorno a cose che hanno specifiche motivazioni che, più che il clamore della dichiarazione ad effetto, meriterebbero invece capacità politica in senso alto, ossia capacità di governare i processi, di controllare che non ci siano abusi senza utilizzare toni urlati e facendo capire alla collettività che sicurezza e tutela della salute delle persone non sono diritti in contrasto l’uno con l’altro.Una politica meno cinica e pavida.
È possibile mettendo le persone pericolose nella condizione di non esercitare la propria pericolosità. Adottando misure che limitino la loro libertà, ma garantendo il loro diritto allo spazio vitale, alla salute, alla dignità, all’affettività. Non si può morire di carcere e in carcere. Andando il più possibile verso misure alternative al carcere. È la Costituzione che prevede, per esempio, che tutti possano accedere all’istruzione, aver garantita la propria salute, ricevere una retribuzione dignitosa. Tutto sta nel modo in cui la si concepisce. Un monumento da celebrare o un programma da attuare? Per me è la seconda. Ritengo il carcere, così com’è, non in coerenza con la Costituzione. L’articolo 27 della Costituzione dice che ’le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità’. Eppure, basta mettere piede in qualsiasi penitenziario italiano, salvo rare e parziali eccezioni, per rendersi conto che le condizioni in cui vivono i detenuti lo contraddicono scandalosamente.
Invito consiglieri regionali, deputati, senatori, europarlamentari a fare queste visite, è una loro prerogativa, un loro dovere etico e politico.
*Garante campano dei detenuti