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Gabriele Ciampi: “Non sono un cervello in fuga, ho scelto di andar via ma torno sempre in Italia”

Da quando vive a Los Angeles, Gabriele Ciampi si dedica a una routine che lo porta ad andare a letto presto e a svegliarsi la mattina senza uno strascico di stanchezza, pronto a iniziare una nuova giornata con ottimismo e voglia di fare. Alle 8, quando ci sentiamo, il caffè lo ha già preso ed è già in piedi da 2 ore: «In Italia gli orari non coincidono mai per via del fuso. A Roma è tutto sfasato in questo senso, mentre in America i ritmi sono più scanditi: è una delle poche cose buone di vivere qui» spiega Ciampi, che a Los Angeles ha trovato non solo la sua dimensione, ma anche la sua fortuna.

Compositore e direttore d’orchestra di fama internazionale, unico italiano membro dell’Academy dei Grammy Awards, Gabriele non si sente un «cervello in fuga», ma piuttosto un «cervello in prestito»: «In Italia torno due o tre volte l’anno per i concerti, le registrazioni e, naturalmente, per rivedere gli amici. È una fortuna poter fare avanti e indietro» aggiunge guardando con apprensione i primi effetti della Fase 2 nel nostro Paese.

«Non condivido l’entusiasmo che c’è in Italia. Qui i morti ci sono e si cerca di andare avanti nel rispetto delle regole: un lockdown vero e proprio non c’è mai stato, ma usciamo sempre di casa con le mascherine e mantenendo le distanze. Le spiagge le hanno riaperte, ma non ci sono gli assembramenti che vedo in Italia. È un errore dimenticarsi quello che è successo: quest’estate tornerò e non so davvero quello che troverò». Sarà per questo che She Walks in Beauty, il singolo che anticipa il suo quarto album, in uscita tra la fine di ottobre e i primi di novembre, è un messaggio di speranza e di ottimismo, di resilienza e di amore. Prendendo in prestito le parole di Lord Byron, Ciampi vince una scommessa realizzando il primo brano «da remoto» della sua carriera: la cantante lirica Teura e la violoncellista che la accompagna registrano, infatti, con i telefoni rinunciando alle comodità e alle attrezzature presenti in uno studio di registrazione. L’idea di reinventarsi per Ciampi, che in passato ha avuto l’onore di essere invitato da Michelle Obama a esibirsi alla Casa Bianca e di stringere la mano a Papa Francesco, è qualcosa di necessario e di imprescindibile per garantire la sopravvivenza non solo dei live, ma della musica stessa. Si racconta in una lunga intervista di VanityFair.

Il futuro della musica come lo vede?
«Quando tutto si ferma, penso che sia necessario vedere le opportunità che nascono nei momenti di crisi. Mettiamoci in testa che non torneremo a quello che è stato: al di là della riapertura lenta, cambierà tutto, il modo di dirigere e di posizionare l’orchestra, il pubblico. Dobbiamo accettare che sarà una cosa diversa e che i concerti si dovranno fare in un altro modo. Per She Walks in Beauty anche io ho lavorato a distanza: lo scenario cambia così come il modo di produrre la musica, ma credo che la crisi ci abbia fatto capire che siamo tutti sullo stesso piano: se una cosa funziona, d’altronde, va da sola e non ha bisogno di altro».

Perché ha scelto proprio un testo di Lord Byron?
«È un poeta che ho sempre letto e che mi ricorda diversi compositori che hanno tirato fuori opere brillanti in momenti di grande crisi e depressione. In questo componimento, Byron immagina una donna che riporta il sorriso e la speranza in un presente dominato dal buio e dall’isolamento: proprio quello che sta succedendo a noi. È necessario trovare la forza di rialzarsi e ripartire, dare il via a una nuova vita. Il messaggio di Byron è di speranza e la musica deve sottolinearlo: le sue sono pochissime parole, ma mirate. Lo considero più come il libretto di un’opera che un semplice testo».

Si reputa una persona ottimista?
«Sono realista, evito sempre i facili entusiasmi e, nei momenti peggiori, cerco di non deprimermi e di andare avanti per produrre qualcosa».

Nel 2011 ha sradicato la sua vita e lasciato l’azienda di famiglia, la Ciampi Pianoforti, per trasferirsi in America. Com’è stato il suo primo periodo a Los Angeles?
«Molto duro. Non sono una persona emotiva, ma nei primi mesi avevo le lacrime agli occhi. La California è un Paese a parte, gli spazi sono talmente grandi che la gente ti calpesta: è molto difficile fare amicizia perché è un ambiente molto aggressivo e molto competitivo. Dall’altra parte, però, questa angoscia e questa ansia mi hanno aiutato tantissimo a scrivere musica: col senno di poi, penso che Los Angeles sia la città giusta per me, anche perché c’è il clima migliore del mondo, mite tutto l’anno».

Una volta in America ha scelto di farsi crescere i capelli: come mai?
«Sentivo che in Italia sopravvivevano certi stereotipi: in dieci anni di attività di famiglia, per esempio, mi si chiedeva di tenere i capelli corti e di indossare la giacca e la cravatta. Penso che la gente si concentra troppo sull’apparenza e molto poco sulla sostanza. Qui in America ho sentito la necessità di cambiare, di farmi crescere i capelli senza la paura di essere giudicato. L’Italia può essere un Paese molto represso, restio al cambiamento. C’è bisogno di più libertà».

È una battaglia, quella contro i pregiudizi, che lei porta avanti da tempo. Anche grazie al sostegno di un’orchestra tutta al femminile.
«È un pregiudizio da combattere un po’ dappertutto, anche in America. Le opportunità per le donne sono poche e, quando c’è qualcosa di grande, vengono subito messe da parte. Il mondo della direzione d’orchestra è molto maschile, i circuiti sono sempre quelli ed è davvero importante cercare di valorizzare le risorse che abbiamo».

A proposito di esclusioni: secondo lei perché non ci sono altri italiani nell’Academy dei Grammy?
«La selezione è dura perché, per entrare, devi avere competenze di orchestrazione e composizione ma, al di là di questo, mi dispiace vedere in giro pochissimi artisti italiani. È un problema legato alla qualità della musica leggera italiana: abbiamo delle grandi interpreti a cui, però, vengono spesso proposte canzoni sbagliate. Più in generale bisogna ripartire dalle scuole, studiare molto e aprire gli orizzonti. Non è che se arrivi dalla tv sei già bravo: l’Italia ha la fortuna di avere la grandissima vetrina di Sanremo, ma molti artisti sono risultati inadeguati di fronte a questa opportunità. All’estero delle ultime dieci edizioni del Festival non è arrivato nessuno, ed è un peccato: i Grammy saranno chiusi, ma l’opportunità di entrare la danno a tutti».

Chi le piace tra le artiste italiane?
«Ce ne sono diverse, da Elodie ad Annalisa. Solo che, spesso, la musica che propongono non è adatta per far emergere al meglio la loro voce».

Nel 2015 si esibisce alla Casa Bianca su invito di Michelle Obama: è vero che è l’ex First Lady le ha fatto assaggiare i suoi biscotti?
«Ho una grande passione per il bakery, il forno e la pasticceria e, prima del concerto, abbiamo parlato soprattutto di questo: anziché fare il briefing con l’orchestra, ero in cucina ad assaggiare questi biscotti ripieni di burro che mi hanno dato un’energia pazzesca. La situazione era surreale, ma è servita per mettermi a mio agio. Sono molto legati all’Italia, solo che gli orchestranti e i compositori sono sempre meno. L’opportunità che hanno dato a me spero che possa arrivare anche ad altri, ma nel frattempo bisogna andare oltre: se si nasce classici non si può pensare di fare solo classica, altrimenti non andrai lontano. Non ha senso creare queste barriere ed è sempre più necessario parlare a tutti e non solo a un pubblico ristretto, così è troppo facile».

La soluzione per lei è, quindi, quella di essere più versatili?
«Il classico ti permette di affrontare tecnicamente diversi generi e diversi stili: il futuro della musica è lì. Nel mio prossimo album sperimento la musica classica con l’elettronica perché non ci sono limiti, puoi spingerti ovunque se ci credi e se, soprattutto, se dietro c’è tanto studio e tanto impegno. Solo con un’apertura mentale maggiore potremo riuscire a costruire insieme il futuro della musica».

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