Minneapolis, 3700 di Chicago Avenue South. Sono le otto di sera del 25 maggio, quando il signor Floyd viene arrestato da quattro poliziotti, perché accusato di essere sotto effetto di droghe. Secondo alcune testimonianze video, pare che uno degli agenti di polizia, abbia immobilizzato l’uomo a terra, premendogli il ginocchio sul collo e bloccandogli il respiro. All’arrivo dell’ambulanza, l’uomo era già morto.“I can’t breath” (non respiro), queste le ultime parole proferite da George, un grido d’aiuto nei confronti dell’artefice dell’omicidio e dei suoi tre colleghi sbirri, fermi a guardare la scena.
Immediato è stato il licenziamento dei quattro agenti della polizia, su cui sono in atto le indagini: “Questa è la decisione più giusta”, sostiene Jacob Frey, sindaco del Minneapolis, “Credo in ciò che ho visto e ciò che ho visto è sbagliato sotto tutti i punti di vista. Quell’uomo non avrebbe dovuto morire. Essere un nero in America non dovrebbe essere una sentenza di morte”.
Nel frattempo sono divenute virali le immagini dell’episodio, filmato dai cellulari di vari testimoni oculari presenti sulla scena del reato. Tra questi, Darnella Frazier dichiara: “La polizia l’ha ucciso, l’ha ucciso lì di fronte a tutti mentre gridava non posso respirare. Quando sono passata di lì, era già a terra, i poliziotti lo tenevano bloccato e lui urlava, ma loro non lo ascoltavano. La sua testa era così schiacciata a terra che gli usciva il sangue dal naso”.
Diverse sono state le manifestazioni di protesta da parte della comunità afro-americana di Minneapolis, che chiede giustizia per George, ennesima vittima di una violenza ingiustificata, dettata da stereotipi di razza. Nel 2014, infatti, un altro uomo afro-americano, Eric Garner, venne bloccato e ucciso da un poliziotto, con una presa al collo su un marciapiede di New York, mentre urlava: “non respiro, non respiro”.
Siamo di fronte, dunque, ad un’ulteriore dimostrazione di quanto il colore della pelle, possa pregiudicare la vita e il benessere di miliardi di cittadini, in un mondo ancora frammentato da una “disparità di genere”.
A cura di Maria Pia Russo.