Il nostro sistema economico è mosso alla base da quattro fondamentali motori, il turismo, la produzione industriale, l’agricoltura e l’edilizia – commercio, servizi alla persona ed alle imprese, stanno al passo con il funzionamento di questi motori. Ha inoltre una grande risorsa a disposizione, costituita dal risparmio depositato dalle famiglie presso il sistema bancario, che ammonta complessivamente a ben 1400 miliardi.
Questo risparmio può essere utilmente coinvolto nel processo di rinascita economica del Paese, a condizione che si rigeneri la fiducia dei risparmiatori italiani nella serietà del sistema stesso. Dei quattro, il motore che meno funziona è l’edilizia, la quale non riesce a coinvolgere le risorse a disposizione del Paese. Eppure, fra i programmi che rientrano nelle politiche dell’Unione Europea, per le quali si sta approntando il potente strumento del Recovery Fund, rientra, assieme a cultura, ambiente, ricerca e digitalizzazione, anche un vasto piano di riqualificazione energetica degli edifici. Il patrimonio abitativo europeo ammonta a circa 25 miliardi di metri quadrati e sistemarne solo il 3 per cento all’anno comporta un piano di investimenti di 75 miliardi annui: questi i conti sulla base dei quali il Parlamento europeo si appresta a varare l’intero piano di riqualificazione edilizio/energetica degli immobili nell’ambito di uno dei pilastri della policy comunitaria.
L’Europa pensa ad una ondata di ristrutturazioni profonde e di sostituzioni edilizie. In Italia un piano di questo genere è di là da venire. Gli ostacoli sono: burocrazia infinita, vincoli condominiali, normative edilizio-urbanistiche punitive. Da noi riqualificazione edilizio-energetica significa prevalentemente rifacimento di infissi, sostituzione di caldaie e caldaiette, al massimo qualche cappotto termico.
Per risolvere il problema della attuale ingessatura del nostro sistema, derivante dalla presenza di 1milione e 200mila condomini, che si possono considerare tra i soggetti maggiormente sordi a qualsiasi istanza di rinnovamento urbano, occorrerebbe, oltre che l’istituzione di una vera e propria zona franca sul piano fiscale, una forte incentivazione economica per i singoli condomini, che solo una massiccia immissione di finanziamenti a fondo perduto sarebbe in grado di permettere.
Altrimenti il rinnovamento urbano potranno farlo solo le “multinazionali” del mattone.
Il problema è convincere proprietari e inquilini a lasciare per qualche tempo la loro abitazione ed a risiedere in case-parcheggio in attesa della ricostruzione. In Germania lo si sta facendo con successo, ed altri Paesi sono sulla stessa strada. E’ necessario che anche in Italia lo Stato convinca economicamente i condòmini a sopportare le conseguenze materiali e psicologiche dell’operazione.
Un impegno di tale natura da parte dello Stato, mettendo in moto tutta la filiera economica legata al momento ricostruttivo e riorganizzativo della vita urbana, potrà avere notevoli effetti moltiplicatori di investimenti, conseguendo quel coinvolgimento auspicato del risparmio privato di cui dicevamo.