«Tutta la città è felice: c’è chi corre, chi va in bicicletta, chi va sulla spiaggia, chi gioca a pallavolo, è bellissimo. Finalmente!». È così che appare la capitale catalana, dopo il lungo lockdown, agli occhi dell’architetto Benedetta Tagliabue. Italiana naturalizzata spagnola, Benedetta, che dal 2000 dirige lo studio EMBT a Barcellona, è ottimista e positiva, in un’intervista al “Corriere della Sera” . Solare, sempre con il sorriso, la progettista di fama internazionale ha trascorso gli scorsi mesi confinata nella sua casa di Barcellona con la famiglia: «L’uomo è un animale sociale e per natura tende ad aggregarsi con altri individui, essere stati segregati è stata un’eccezione».
Vuol dire che ha fatto fatica a rimanere in casa?
«Al contrario, è stato bellissimo. Prima di tutto perché ho potuto trascorre del tempo con i miei figli e poi, proprio perché sono abituata a viaggiare, il poter godere di un periodo di “fermo” è stato fantastico. Solitamente è richiesta la mia presenza nei cantieri, mentre adesso ho potuto lavorare a distanza. E nessuno mi voleva!».
Anche in Italia ha diversi progetti in corso, a cosa sta lavorando?
«La chiesa di Ferrara è uno dei lavori che mi ha coinvolto maggiormente in questo periodo. È un concorso iniziato dieci anni fa e che è andato avanti lentamente, ma tra meno di un anno sarà finito. Ora siamo nella fase più interessante, che vede la partecipazione di tutti gli attori: l’architetto, l’artista, che in questo caso è Enzo Cucchi, e il liturgista che ci guida verso il sentimento spirituale che l’opera deve suscitare. Tutti collaborano ed è emozionante sentire questa grande energia che gravita intorno. Per fare una chiesa non basta uno spazio che porta alla suggestione e alla contemplazione, occorre creare un rapporto con la comunità cristiana e con la città. Le Nuove Chiese (Cei: Conferenza episcopale italiana) hanno proprio il compito di guidare il team affinché si crei un’intima simbiosi fra religione, spiritualità, cultura e arte. Come è successo nelle opere di Le Corbusier in cui la riflessione sul sacro con artisti come Chagall e Matisse è stata molto intensa».
La collaborazione con artisti la sta sperimentando anche con l’opera della stazione di Napoli.
«La città partenopea ha avuto un grande coraggio quando ha deciso di intraprendere il percorso delle “stazioni d’autore”. L’archeologia a Napoli è presente ovunque, quindi scavare comporta grande cautela, ma la finalità del Comune è proprio quella di combinare la fruizione del trasporto pubblico con l’archeologia e l’arte contemporanea. Adesso viaggiare nei sotterranei di Napoli è un’esperienza sensoriale, artistico-culturale fantastica. Anche a Parigi stiamo realizzando una stazione metropolitana lungo la linea Grand Paris, la più grande opera pubblica degli ultimi trent’anni: una rete composta da quattro linee di metropolitana ad anello attorno alla città. Il modello è stata la metropolitana delle tre A (Arte, Architettura, Archeologia) di Napoli. Anche se a Parigi non hanno l’archeologia hanno scelto di far realizzare le stazioni da architetti iconici diversi e avere sempre l’integrazione con l’arte».
Ha progetti ovunque nel mondo ma l’Italia è la sua patria, che valore ha per lei?
«Quando lavoro in Italia mi sento diversa. Riscopro me stessa. Sono lombarda, ho visto molti Paesi però mi sono accorta di conoscere poco il mio. Quindi sono curiosissima quando giro le nostre meravigliose città come Ferrara, Napoli e Roma. Proprio a Roma abbiamo curato l’allestimento della mostra Lessico italiano. Volti e storie del nostro Paese all’interno del Vittoriano. Sono stata felice di aver lavorato in un luogo in cui si riconosce, sia sotto il profilo culturale che iconico, tutta l’italianità».
Benedetta cittadina del mondo con Barcellona nel cuore. Una città dove andrebbe a vivere?
«Ho fatto l’università a Venezia e stavo benissimo, ritengo sia una città meravigliosa per viverci. A New York mi sono divertita, ma è una città difficile, che devi saper “compensare” per non farti “inghiottire”. Ora che ho scoperto il telelavoro, penso che mi piacerebbe stare su un’isola meravigliosa come Minorca».
Oggi l’architettura è importante anche in ambito culinario. I piatti che escono dalla cucina devono avere una linea precisa ed essere esteticamente gradevoli. Che valore ha per lei il cibo?
«Lo apprezzo molto, specie i piatti tradizionali, però ritengo sia anche necessario sperimentare. La cucina è un settore che evolve con grande velocità, come la lingua e l’architettura. E per essere al “passo” bisogna inventare sempre cose nuove».