CIAMBRIELLO:”IL NUMERO DEI SUICIDI IN CAMPANIA TORNA A PREOCCUPARE. LE GALERE SERVONO A TOGLIERE LA LIBERTA’, NON LA VITA!”

Luigi e Alfonso sono i nomi dei due uomini che in meno di 48 ore hanno messo fine
alla loro vita nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere e Poggioreale. Dei 29 detenuti
che su tutto il territorio nazionale si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno, si arriva a
quota 6 vittime per la Campania. Dopo un calo del 40% dei suicidi negli istituti
penitenziari della regione nel 2019 rispetto all’anno precedente, i dati di questo primo
semestre tornano ad essere allarmanti. Anche se i suicidi sono ascrivibili a diverse
motivazioni, il carcere continua ad uccidere. Nonostante il numero di detenuti nelle
carceri italiane sia sceso del 13,9%, arginare il problema del sovraffollamento non
basta a contrastare il malessere, il degrado e la solitudine della vita in carcere. In
questo periodo di distanziamento sociale dovuto all’emergenza sanitaria sono ancor
più venuti a mancare i contatti con i propri affetti, la comunicazione, l’ascolto e la
presenza di figure sociali, producendo un evidente senso di abbandono e
arrendevolezza. Continuo a ribadire la necessita di implementare progetti rieducativi
e umanizzanti, distribuendoli su tutto il corso della giornata, al fine di combattere
l’isolamento. Chiedo a tutti, ognuno per la sua parte, di assumersi l’impegno di
riflettere e intervenire. Bisogna sconfiggere insieme l’indifferenza a questo stato di
cose, coinvolgendo istituzioni e parti sociali. Il tema della prevenzione dei suicidi non
può essere ristretto alla riflessione e alla responsabilità solo di chi si trova a gestire il
carcere ma richiama alla responsabilità il mondo della cultura, dell’informazione,

dell’amministrazione centrale e locale, e soprattutto della politica nazionale che
troppe volte in maniera cinica coniuga il populismo penale con quello politico. La
perdita di tali vite a un ritmo più che settimanale non produce sussulti, non assume
quel rilievo come tema, che nella sua drammaticità dovrebbe avviare ad una effettiva
riflessione ed elaborazione delle marginalità individuali e sociali che la nostra attuale
organizzazione sociale produce. Negli istituti di pena si concentrano gruppi
vulnerabili che sono tradizionalmente quelli in cui rientrano i soggetti a rischio
suicidario, ovvero giovani, persone con disturbi mentali, persone socialmente isolate,
con problemi relazionali, di abuso di sostanze, e con storie di precedenti
comportamenti auto ed etero lesivi. Bisogna andare oltre l’attuazione di quel
protocollo anti-suicidario che si applica in condizioni normali, ma che non dà buoni
risultati in un’ottica che tenga conto della complessità di queste vite e dei bisogni
delle nuove utenze. Va rafforzato, a tal proposito, il sistema di prevenzione agendo
con una maggiore formazione specifica per gli agenti di polizia, per l’area educativa,
e per il mondo del volontariato che entra nelle carceri, al fine di prevenire e intuire il
disagio che poi porta al suicidio.
È necessario inoltre un adeguando degli interventi,
con azioni congiunte che uniscano gli operatori di “dentro” e quelli del “fuori”.
Affinché si possa fornire una risposta complessa ad un fenomeno di tale portata, non
dimenticando coloro che hanno provato a suicidarsi, e che vivono le diverse forme di
autolesionismo nelle carceri.
Le galere servono a togliere la libertà, non la vita.

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