«Il clan dei carabinieri» così è stata rinominata in queste ore la banda della caserma Levante di via Caccialupo a Piacenza, oggi posta sotto sequestro. Carabinieri in divisa, capitanati dall’appuntato Giuseppe Montella (con 23 conti correnti diversi oggi sequestrati), 37 anni, che dal 2017 al 2020, prima dell’inizio delle intercettazioni, hanno gestito lo spaccio con con pestaggi, arresti fasulli, minacce ed estorsioni.
«NON SIETE CARABINIERI» grida Roberto Saviano su Repubblica. «Se le accuse saranno confermate, vorrà dire che questi individui non solo hanno tradito il giuramento fatto alla Repubblica, ma hanno sputato, stuprato, violato ogni donna e uomo (più di centomila militari) che, decidendo d’essere carabiniere, raccoglie su di sé una scelta di vita complicata e di responsabilità.
Hanno delegittimato la fiducia dei cittadini nell’Arma. Di tutto questo dovranno rispondere, e non solo dei loro crimini gravissimi».
Adesso la procura di Piacenza sta sta fotocopiando ogni pezzo di carta presente all’interno della caserma per risalire a chi ha coperto chi e risalire alla catena di comando. Su questo, a proposito del maggiore Bezzecchieri, il gip Luca Milani ha affermato: «Veniva informato costantemente delle operazioni in corso e, ciò nonostante, non aveva mai sollevato eccezioni arrivando addirittura a complimentarsi con loro. Era ossessionato dalle prospettive di carriera».
La seconda fase dell’inchiesta comincia oggi, riporta VanityFair, con i primi interrogatori di garanzia intanto la procuratrice capo di Piacenza, Grazia Pradella, è decisa a non lasciare nessuna zona d’ombra nell’inchiesta che si appresta a smantellare un caso unico in Italia, «il più grave della storia della Repubblica Italiana», sottolinea Saviano ribadendo come «leggendo in fila le carte delle inchieste degli ultimi anni l’Italia ne esce come un Narco-Stato».
«Non immaginavamo di arrivare a questo punto», «non abbiamo mai intascato un euro», hanno detto tra le lacrime i primi carabinieri arrestati mercoledì all’alba. È da loro che gli inquirenti si aspettano collaborazione durante gli interrogatori, anche perché, come ha sottolineato un investigatore parlando a Repubblica, «non hanno alternative», vista la mole di documenti, intercettazioni telefoniche e fotografie raccolte sul caso.