UN ARTICOLO DI SERGIO ZAVOLI DEL 2016:”I PARTITI, LA DEMOCRAZIA,IL REFERENDUM, LE AMMINISTRATIVE..”

La vicenda umana sta affrontando il complesso e concitato sviluppo non solo di nuove politiche, ma anche delle condizioni per “aggiornarne” identità ed equilibri. Ogni giorno la realtà ci consegna un racconto in cui riaffiorano gli errori di prima e non sempre si colgono le esigenze di oggi; la stessa configurazione politica, economica, culturale chiamata “globalizzazione” sta indebolendo un forte “impegno di senso”, per usare il linguaggio dei socio-analisti, tradito dalla progressiva inframmettenza di una “crisi” sempre più complessa. L’intera Europa non è più simile a quella di quindici anni fa; né sorte migliore è toccata, per vari versi, agli Stati Uniti che oggi, tra i candidati alla presidenza, hanno avuto un magnate, Donald Trump, il quale eccitava il suo parterre elettorale cui orgogliosamente garantiva la distruzione del “political correct” per esempio confermando il diritto a “un’arma difensiva”, da inserire tra le libertà democratiche della nazione americana. Una promessa incentivata dall’improvviso risveglio dell’11 settembre 2001, quando gli appiccatori di incendi presero a dire che l’Islam, deciso a liberarsi da una storica frustrazione per avere mancato il suo incontro con la modernità, e non volendo venir meno a principi di moderazione, ha lasciato, di fatto, che frange variamente islamiste si intestassero la responsabilità di creare e gestire strategie violente, criminali, terroristiche, costituite nel nome di una “libertà” che in Turchia riconosce a un ambiguo dittatore la facoltà di valutare la convenienza politico-elettorale della pena di morte, nel frattempo imprigionando decine di migliaia di maestri e professori, magistrati e intellettuali, giornalisti e burocrati, impiegati e dirigenti, generali e soldati con il pretesto di un “golpe” dall’origine molto dubbia, e spogliando d’ogni “diritto di cittadinanza” tutti i presunti responsabili di un singolare reato: un’inclinazione democratica, laica, liberal-socialista “in palese contrasto con lo spirito e l’ordinamento politico-religioso dello Stato islamico”. Si è poi fatta viva, d’un tratto, un’ondata revanscista aggiuntasi alle tendenze xenofobe emerse in varie parti del continente, a cominciare dall’Austria, cui farà seguito l’abbandono di un prestigioso partner europeo, la Gran Bretagna, un gesto certo non assimilabile alla reazione egoistica, non di rado furente, prodotta dalle migrazioni; e infine l’agglutinarsi quasi simultaneo di varie forme d’opposizione civile, come in l’Italia, dove in vista di un delicato, si spera, “autunno tiepido” vengono tenuti in vita giudizi univocamente critici sulla politica del governo, quando non solo in Europa gli vengono riconosciuti due anni di sforzi in gran parte inediti, a volte aspri e spesso coraggiosi, seppure con impegni non tutti mantenuti, che stanno restituendoci un laborioso, efficace ruolo diplomatico e politico, lasciando alle ragioni dell’opposizione argomenti certo legittimi, ma temporalmente e, diciamo tecnicamente, opinabili per come sono andati assumendo tonalità che non giovano a una dialettica favorevole alla ricerca di soluzioni da dover affrontare facendola precedere da un’agenda convenuta e comunque pronta a confluire, per i suoi più diretti interessati, in premesse di natura anche costituzionale, cui certo non nuocerebbero tempi e modi più pacati e aggreganti; non indeboliti da narrazioni pressoché quotidiane e quindi, anche mediaticamente, concitate.

Credo che i partiti debbano fare i conti con le parole non sempre esemplari della politica facendosi carico di un diminuito prestigio volgendo la mente al più grande e nobile dei patrimoni: la democrazia. Ma anche se la reputazione ha subito dei cedimenti, resta irrilevante di fronte ai pericoli che i populismi, profittandone, coltivano. Non c’è, insomma, motivo di aumentare l’inquietudine; un vero pericolo è la mancata percezione dell’urgenza che il Paese creda, unito, in sé stesso, cioè in un destino comune.
Un referendum, per esempio, che diventasse una scelta unicamente volta a comprovare il fondamento di una sconfitta, essa non sarebbe imputabile a questo o a quel leader, ma a un mancato dovere della trasparenza e della responsabilità, della coerenza e della fiducia convenute e riunite per essere la prova di una non più solo declamata “politica del fare”.
Trascorse le amministrative, un detonatore per rispondere alle necessità di approfondire argomenti in funzione non della controversia, ma del doverne venire a capo, mentre il Paese ha súbito colto le separatezze, sono pur cautamente risaliti dalla loro inerzia i coraggi perduti e le speranze disperse dei giovani; un fenomeno che in Gran Bretagna, e in Italia, ha indicato la volontà di uscire dall’irrilevanza sociale, dall’esilio psicologico, dalle fonti del pessimismo ingovernato che hanno appesantito un clima di sofferenza anche culturale tra i protagonisti di una sinistra messa in causa ancora una volta, così appare, da invalicabili difficoltà, eppure siamo coinvolti in una realtà che comprende tutti, maggioranza e minoranza, e non è una questione solo del PD la difesa di un centro-sinistra che per suo merito primeggia in Europa; e nel nostro Paese di cui è il partito più numeroso.
Tutto ciò mentre aumentano le ragioni per dover vivere questa temperie con l’idea di trarne, intanto, ipotesi convergenti, perché la politica è “uscirne insieme”, come si amava insegnare, è stranoto, nella celebre e ormai emblematica scuola di Barbiana; mentre oggi una gioventù di “lupi solitari” va a esplodersi negli ovili per ingrandire la morte, anche sgozzando un prete “nemico di Allah”, una delirante visione dei problemi religiosi, un argomento per alimentare suggestioni, e indirizzare militanze, tra ragazzi e ragazze invaghiti da violenze, sciaguratamente, anche misticheggianti: circa 1800 terroristi, tra aspiranti e professionali, nascosti nelle tane non solo europee in vista di una visionaria guerra di religioni.
Ho stima della qualità morale e intellettuale dell’opposizione, ma occorre predisporre progetti, convinti della necessità di prepararsi a una politica indotta da una “ragione ragionevole”, che cioè non offra spazi al consumo dei disincanti e delle paure, ma anche alle pretese di risolvere le difficoltà della crisi con i rigori dell’intransigenza, dell’austerità, della durezza.

Si tratta di ricreare una invogliante, non rassegnata, normalità; e qui, per alleggerire i toni, mi torna in mente il giudizio di Pietro Nenni, saltuario giocatore di bocce, che incontrai dove si ritirava per scrivere la propria storia, e in attesa dell’intervista indussi a parlare della sua vocazione bocciofila, chiedendogli quanto potesse assimilarsi alla politica il resistere o l’affidarsi alla tentazione di “bocciare” oppure “andare a punto”. Può far bene ricordare come Nenni spiegò la superiore qualità della seconda scelta: non il colpo emotivo, direttamente sul bersaglio, ma la sponda paziente e lo sguardo che accompagna e sembra guidare la boccia finché si ferma accanto al pallino. Una metafora di sinistra, che evoca la pericolosità di trasformare il contrasto nell’irriducibilità per giunta in un Paese risolutamente avviato a misurarsi con il suo futuro; mentre nella saggistica di colpo temeraria dell’Occidente furoreggia, nientemeno, la diceria storico-immaginifica dei “cambi di civiltà”.
In realtà credo sia arduo sentirsi esclusi dalle parole del presidente Mattarella quando dice che «nei momenti di crisi profonde un grande Paese come il nostro ha il dovere di essere unito, per infondere fiducia e forza. E per alimentare la speranza».
E Francesco, a sua volta: «Dio fermi il terrore, tocchi i cuori dei violenti. Basta orrori! La nostra risposta a chi vorrebbe una guerra tra religioni si chiama: fraternità, comunione, famiglia».
Quanto alla scelta di una politica plurale, laboriosa ed efficace non si conceda, essa sì, nessuna pausa; ma sia, proviamo a esagerare, come il rampicante per i muri.

Sergio Zavoli

(otto agosto 2016)

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