Matteo Renzi porta il Pd oltre la soglia storica del quaranta per cento, e porta in Europa un grande partito italiano in grado di far sentire autorevolmente la sua voce. Sembra un miracolo ma non lo è. Piuttosto, è il frutto di una strategia lucida e portata avanti con determinazione. Certo, l’isteria di Grillo ha aiutato, ma il Pd oltre il 40 per cento era esattamente l’obiettivo per il Pd che Matteo Renzi aveva in testa.
Qualcuno lo aveva definito, un anno fa, come “il tipico esempio di uomo liberal socialista o einaudiano lontano dalla cultura marxista e che non detesta i capitalisti”. Quel che di Renzi non piaceva alla Sinistra – che lo additava addirittura come un nemico – era esattamente questo: Renzi non odia i capitalisti ma al contrario crede negli imprenditori, nel “privato” che crea ricchezza; e crede nel “pubblico” come soggetto regolatore e non gestore. E tuttavia si sente di sinistra.
Certo, esistono due modi di intendere la sinistra. Esiste la sinistra (ma anche la destra) statalista, ed esiste la sinistra liberale non statalista. Renzi si è dimostrato nei fatti un “rottamatore” della vecchia politica perché ha rivoluzionato la geografia politica italiana. Molti che sino a ieri votavano a destra o al centro, convinti che solo lì ci fosse la difesa della libertà d’impresa (e di professione) e la difesa dello Stato, oggi hanno votato a sinistra, per Renzi. Perché oggi Renzi rappresenta un modo positivo di essere Stato.
Due visioni della sinistra si sono contrapposte negli ultimi trent’anni in Italia: quella delle pari opportunità e quella dell’appiattimento, quella del “Pubblico” ingombrante e dissipante le risorse e quella del “Pubblico” soggetto regolatore. Bersani proponeva un’alleanza politica ampia con baricentro spostato verso la sinistra radicale e marxista. Renzi ha invece fatto del Pd un partito riformista e liberale di sinistra, in grado di governare l’Italia e ridare slancio alle imprese italiane ed estere, che da anni oramai hanno smesso di investire nel nostro Paese. Oggi esiste una nuova sinistra in Italia, con un bacino elettorale enorme.
Il Pd di Matteo Renzi è in grado di dialogare con Vendola come con Monti e forse domani di inglobarli in un progetto di grande partito pluralista. Renzi ha rottamato il vecchio concetto di sinistra caro ai sindacati, si è posto come l’uomo che guarda oltre i diritti acquisiti e cerca di ridare una possibilità di futuro a chi non ha diritti. Renzi è la sinistra che vede nell’Europa un’opportunità e non un padrone. Bersani voleva fare una grande ammucchiata da Casini a Vendola con un Pd sotto il trenta per cento. Renzi ha costruito un grande partito autonomo ed autorevole, in grado di dettare condizioni ai suoi alleati eventuali e non costretto a doverle subire dai suoi alleati necessari. Il risultato storico dell’aver superato la soglia del 40 per cento è frutto di una strategia che voleva fare del Pd un grande partito popolare riformista e superasse una concezione antica della sinistra che non riusciva ad avere un consenso autonomo sufficiente a governare con autorevolezza. Ma, paradossalmente, gli avversari di Matteo Renzi, nelle ultime settimane di campagna elettorale, hanno reso, con il loro comportamento, più celere questo percorso. Berlusconi ha dipinto Grillo per quello che era e Grillo ha gettato la maschera: la sua era soltanto una “provocazione” politica, che se per caso fosse diventata “maggioranza” politica avrebbe destabilizzato il paese con danni enormi per tutto il sistema Italia. Questa consapevolezza è entrata nel cuore e nella testa degli italiani, che hanno visto nel Pd a guida Renzi l’unico baluardo credibile all’irresponsabilità di chi si proponeva di scassare ma senza alcun progetto di ricostruire.
La vittoria di Renzi è tuttavia ancora una vittoria incerta nel Mezzogiorno. Non tanto per il risultato (35 per cento contro un dato nazionale al 41) quanto per la classe politica che lo rappresenta, che difatti nelle elezioni amministrative dimezza il risultato ottenuto dal Pd alle Europee. In altri termini, quando si tratta di votare alle Europee, il Pd di Matteo Renzi ottiene un risultato molto buono, ma quando si tratta di votare i rappresentanti locali di quel Pd nel mezzogiorno il risultato è molto meno buono. C’è ancora tanto da fare e d’altronde lo stesso Renzi ha affermato che “la rottamazione è appena iniziata”. Ma rottamazione di cosa? Ecco, su questo occorre intendersi. La rottamazione, lo sappiamo tutti, non è un fatto anagrafico, ma una questione culturale. Occorre riportare il voto di opinione – che Renzi riesce a conquistare personalmente alle competizioni europee e nazionali – anche sul piano locale. E per fare questo occorre una selezione della classe dirigente diversa rispetto al passato, una selezione rapportata non più soltanto alla “militanza” ed alla “appartenenza” ma alla “competenza” ed alla “serietà” (oltre che ovviamente alla “moralità” ed alla “innovazione”). Ma anche sul piano dei contenuti il Pd deve molto lavorare sul tema Mezzogiorno.
Nel suo programma delle primarie Renzi non ha mai usato la parola “Sud”. Come non ha mai usato la parola “Nord”. Per la prima volta un leader politico omette di affrontare la questione territoriale. Una carenza o forse un nuovo modo di porsi in politica. Al di la della retorica, infatti, oggi vi è infatti la consapevolezza diffusa che l’assistenzialismo non è una buona medicina. La medicina per il Sud è quella per l’Italia. Ma una volta arrivato a Palazzo Chigi, Renzi scopre di essere costretto ad affrontare questioni di carattere territoriale e che non è affatto semplice “cambiare verso”. Prendiamo Bagnoli. Ebbene, capita che Renzi dichiari che voglia metterci la faccia su questa storia e tuttavia la società “Bagnoli futura S.p.A.” fallisce proprio a causa di un’istanza presentata da una società (Fintecna) che è posseduta e diretta dal Governo. Una scelta? No, le carte sono andate avanti senza una direzione politica chiara, senza un approccio strategico definito, ed alla fine a decidere sulla controversia tra enti pubblici sono stati i giudici. Aiuterà il fallimento di “Bagnoli futura S.p.A.” a cambiare verso all’approccio politico alla vicenda? Lo vedremo, per ora quel che è certo è che si è proceduto ancora con troppa improvvisazione e poca competenza. La questione territoriale necessita di una classe politica seria e competente e che guardi lontano. Il movimento di Renzi rappresenta il desiderio di voltare pagina, un movimento di opinione che si allarga spontaneamente ritrovando in Matteo la possibilità di poter esprimere un voto che non sia per la vecchia politica e non si rassegni all’antipolitica. A Napoli ed in Campania la nomenclatura del partito che era stata quasi interamente schierata durante le primarie del 2012 contro Renzi, oggi lo appoggia. Renzi ha incassato questo appoggio per vincere. Ma ora occorre portare avanti con decisione il processo di rinnovamento. Partendo dalla rottamazione di un concetto: quello del politico a vita, di chi pensa che la politica sia un mestiere a tempo indeterminato, un’occupazione e non una distrazione temporanea dalla propria occupazione. Renzi sembra avere un concetto di comunicazione moderno e disinvolto ma soprattutto sembra aver intuito che oggi la vera battaglia non è tra destra e sinistra ma tra la politica e l’antipolitica: per questo motivo si rivolge anche ai delusi di Berlusconi, perché il suo elettorato di riferimento è composto da quella parte della popolazione che è stanca di una politica retorica e ripetitiva.
Nel Mezzogiorno questa speranza di poter praticare, o almeno sognare, una politica che non sia mero clientelismo e/o affiliazione al capobastone di turno si era affievolita. Ed è per questo motivo che il richiamo di Renzi risulta ancora potenzialmente seduttivo. Matteo Renzi sembra in grado di spostare parte dell’elettorato dall’area della protesta (con voto o con astensionismo) a quella di governo; di deviare masse consistenti di voti da destra a sinistra. Di cambiare l’identità stessa del Partito Democratico e la sua collocazione baricentrica nella geografia politica del paese. Di archiviare il concetto di politico di professione ed a vita, di concepire un partito leggero e con costi della politica molto più ridotti per le casse dello Stato con l’abolizione (o drastica riduzione) del finanziamento pubblico dei partiti. Di avviare una nuova stagione di riforme dove il Mezzogiorno viene archiviato come problema specifico ma viene allo stesso tempo affrontato come tema centrale per lo sviluppo dell’intero paese. La strada è lunga, il voto delle Europee da l’entusiasmo necessario per percorrerla senza tentennamenti.