A margine della presentazione del libro “Capitano Ultimo, la vera lotta alla mafia”, a cui ha partecipato come relatore, il Colonnello Nicola Conforti parla del suo lavoro. Dirige il gruppo carabinieri di Torre Annunziata, uno dei 13 gruppi nati per demoltiplicare le funzioni nei più importanti comandi provinciali. Fino al 2008 nella provincia di Napoli c’erano due gruppi: quello di Napoli che controllava il capoluogo, Pozzuoli ed Ischia mentre il resto della Provincia ricadeva sotto il comando del Gruppo di Castello di Cisterna.
«Nel novembre 2008 si optò per la divisione del Gruppo di Castello di Cisterna in due: ognuno dei quali avrebbe controllato 4 Compagnie. Nonostante le peculiarità dei territori, fu scelta come sede la città di Torre Annunziata per diverse caratteristiche: ospita il Tribunale della Procura, occupa un ruolo centrale rispetto al resto delle città e ha registrato, per anni, un altissimo indice di criminalità organizzata e predatoria».
Da quando è stato istituito il gruppo è visibile un netto miglioramento della qualità della vita sia a Torre Annunziata che nelle città limitrofe.
«Si sta raggiungendo il vero obiettivo che ha spinto alla nascita dei Gruppi. Oggi c’è un comando dell’arma più forte, con un colonnello alla dirigenza ma soprattutto con il Nucleo Investigativo che coordina le attività dei territori. Nello specifico il nostro è diretto dal Maggiore Amadei. Con questo reparto siamo riusciti ad avviare subito indagini mirate, soprattutto alle organizzazioni di stampo camorristico».
Sarebbe stato possibile senza il comando gruppo?
«Per intenderci prima c’era la compagnia con dei nuclei operativi che non avevano una consistenza numerica tale da aggredire le organizzazioni presenti. Con la riforma del 2008 è stato messo tanto personale in più con competenze esclusive a fare indagini, inglobando man mano il lavoro delle singole compagnie che si sono dedicate ad attività di indagini, non meno importanti, sulla criminalità diffusa o predatoria. Sono aumentati gli arresti ed i sequestri di ingenti patrimoni mobili o immobiliari».
A proposito di sequestri, non sempre funziona bene il riutilizzo dei beni confiscati. Si fanno ampi titoli sui media dei valori dei sequestri effettuati, ma molte persone non hanno cognizione dell’uso che se ne fa.
«Innanzitutto occorre dire che è importante aggredire il patrimonio delle organizzazioni criminali, perché anche sequestrando beni, non solo arrestando affiliati, si riesce a dare un colpo significativo. Una volta confiscati, i beni diventano patrimonio disponibile dello Stato e, quelli immobili, attraverso una procedura ritornano alla collettività. Poche settimane abbiamo inaugurato, con la presenza del Presidente Piero Grasso, la sede FAI (federazione anti usura e racket) ad Ercolano, la stessa città dove, in un altro immobile confiscato, è nata Radio Siani».
Che ne pensa del rapporto tra le forze di polizia e le scuole? Possono lavorare in sinergia per migliorare la coscienza civica soprattutto dei più piccoli, formando i cittadini consapevoli di domani?
«L’Arma dei Carabinieri ha come linea istituzionale quella di andare nelle scuole che, nello specifico del mio Gruppo e del territorio, ritengo un’attività fondamentale. L’approccio non è quello di andare a fare attività promozionale, perché non cerchiamo nuove leve, ma proviamo ad umanizzare il carabiniere agli occhi dei più piccoli. Parliamo dei nostri difetti, confrontandoci con i ragazzi che sono degli osservatori molto più attenti di quello che possiamo immaginare. Io, quando vado nelle scuole, mi sforzo con l’aiuto dei ragazzi di mettermi dal loro punto di vista e cerco di aiutarli a mettersi dal nostro punto di vista. Questi incontri hanno soprattutto la finalità di avvicinarci. Infatti, se capita che faccio delle domande, mi rispondono in coro ed in maniera giusta, a differenza – il Colonnello sorride – di come potrebbe capitare con domande di geografia, storia o inglese. La legalità, per me, è normalità ed i più piccoli la tengono già dentro».
Però, soprattutto in questi territori, durante gli incontri nelle scuole le sarà capitato qualche episodio particolare.
«Certo! Alcuni ci vedono come eroi, altri ci odiano ed il gruppo più numeroso ha un atteggiamento di indifferenza, non essendosi mai posto il problema sulla figura delle forza dell’ordine. Purtroppo non è facile far cambiare idea a chi ci ha visto irrompere nel cuore della notte per arrestare qualche parente. Lo sforzo che facciamo è fornire una chiave di lettura differente affinché col tempo possano cambiare punto di vista rispetto a quello che apprende dai racconti dei genitori».
Una parte di quel gruppo numerosi di giovani, pur non avendo genitori appartenenti a famiglie malavitose, vivono ogni giorno piccole illegalità. Penso a quelle più semplici ma anche più dannose che vanno dall’abbandono indiscriminato dei rifiuti alla sosta selvaggia con le auto.
«Su questi giovani occorre lavorare immettendo il germe della riflessione. Occorre far capire che loro rappresentano il futuro ma hanno già un ruolo immediato nella società, anche ammonendo i genitori quando fanno un’azione incivile. Guardi, facendo un esempio, il fatto che oggi il casco lo si indossi perché serve e non per la paura di essere fermati è molto significativo».
In Italia però resta il problema annoso della giustizia.
«È anche vero che in Italia fa notizia il caso della giustizia lenta o di scarcerazioni dovute a cavilli o tempi lunghi. Questi sono casi limite rispetto alla maggioranza che portano a condanne. Sicuramente la giustizia potrà migliorare, però occorre sfatare il mito che avvolge i singoli episodi e che spinge alcuni a pensare: “perché li arrestano se dopo li rilasciano”».